Contrattazione

Crescono i contratti con meno tutele

di Giorgio Pogliotti e Claudio Tucci

Il decreto dignità, in un contesto di crescita economica piatta, sta favorendo la polarizzazione del mercato del lavoro: la reintroduzione di causali legali e i costi aggiuntivi sul lavoro flessibile hanno accelerato (almeno in una prima fase) le stabilizzazioni delle professionalità “più alte”, ma hanno anche incentivato il turn-over di larghe coorti di lavoratori, molti dei quali sono scivolati verso forme di contratti meno tutelanti, incrementando in maniera esponenziale il part-time involontario. Ad essere penalizzati sono soprattutto quei lavoratori con posizioni più “deboli”, giovani, donne e senior tra 40 e 50 anni, scivolati dal lavoro a tempo determinato o in somministrazione - con le garanzie del lavoro dipendente - verso contratti con minori protezioni, come i contratti intermittenti, gli occasionali, e verso la stessa stagionalità, fino al lavoro irregolare e in nero.

Assolavoro, l’associazione nazionale delle Agenzie per il lavoro (rappresenta oltre l’85% del settore) ha rielaborato le ultime rilevazioni Inps evidenziando come nei primi undici mesi del 2019 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente sono aumentate le assunzioni stagionali (+13,5%) e intermittenti (+7,0%) mentre sono calate le assunzioni con contratti a tempo determinato (-7,9%) e soprattutto in somministrazione (-27,8%). Nell’ultimo anno, oltre 800mila persone hanno avuto accesso a un lavoro con tutte le garanzie, le tutele e la retribuzione del lavoro dipendente attraverso le Agenzie, i lavoratori in somministrazione assunti a tempo indeterminato hanno raggiunto quota 90mila, ma secondo le stime di Assolavoro quest’anno in 25mila rischiano di scivolare verso forme di lavoro poco tutelate o irregolari, a causa delle norme penalizzanti del decreto dignità. «Occorre intervenire urgentemente apportando correttivi al decreto dignità, valorizzando le forme di lavoro come la somministrazione che garantiscono i diritti, le tutele e la retribuzione tipiche del lavoro dipendente - sottolinea il presidente di Assolavoro, Alessandro Ramazza -. Contestualmente va intrapresa una lotta senza quartiere al lavoro irregolare e completamente in nero».

La diffusione del lavoro nero è emersa anche dagli ultimi dati dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro (Inl): nei primi sei mesi del 2019, infatti, sono raddoppiate le sanzioni per appalto illecito e triplicate le denunce per caporalato. Il tasso delle irregolarità riscontrate presso le imprese controllate è salito di 3 punti (dal 69% al 72% dei casi) ed è cresciuto del 7,7% il numero delle posizioni lavorative risultate irregolari (dalle 77.222 del 2018 a 83.191). In crescita del 14% (da 20.398 a 23.300) è anche il numero dei lavoratori completamente “in nero” accertati.

Anche la crescente diffusione di rapporti di lavoro a tempo ridotto non dipende da una scelta (sostanzialmente volontaria), quanto piuttosto dalla mancanza di occasioni di impiego a tempo pieno. Gli ultimi dati riferiti al terzo trimestre 2019 indicano, su base annua, una significativa crescita della presenza di questa tipologia di lavoratori impiegati in part-time, pur avendo necessità di lavorare a tempo pieno. Lo stock di sotto occupati in part-time involontario ha raggiunto 2,821 milioni di unità, mentre la variazione tendenziale di questo gruppo di lavoratori (rispetto cioè al terzo trimestre del 2018) è stata pari al 4,4% con un incremento assoluto di 120mila unità; ad indicare come anche in piena vigenza del decreto dignità, stia crescendo ampiamente il numero di lavoratori sotto-occupati. Il part-time involontario spiega, del resto, larga parte della crescita del lavoro dipendente, soprattutto nei primi sei mesi del 2019.

L’effetto “turn-over” lo si evince dal forte aumento delle domande di Naspi a fronte di una riduzione del tasso di disoccupazione. Sempre utilizzando dati Inps, nei primi 7 mesi del 2019 il numero medio di percettori di Naspi mensile è stato pari a un milione 182mila persone, contro un dato di medio di un milione e 92mila persone dello stesso periodo del 2018. Su base annua proiettata a tutto il 2019 la crescita del numero di Naspi in piena vigenza del dl 87 è pari all’8,3% con una crescita delle prestazioni di 1,1 miliardi di euro.

Questi numeri spingono il presidente di Assolavoro a incalzare il governo a tornare sui propri passi: «partendo dall’esperienza, senza più insistere in narrazioni che inevitabilmente si infrangono sul muro della realtà».

Di qui, tre proposte “a costo zero”. La prima riguarda il come avvicinare le persone al lavoro: «Un ragionamento serio su questo punto implica una valutazione sugli effetti del decreto dignità, e l’introduzione dei necessari correttivi - spiega Ramazza -. L’avvicinamento al lavoro avviene anche mediante forme di impiego - ovviamente accompagnate da tutte le tutele e le garanzie per evitare abusi - non necessariamente a tempo indeterminato ab initio, come pure tutti vorremmo. Un correttivo sulle causali alla luce di quanto emerso dalla sperimentazione del decreto dignità e in generale un approccio che miri alla qualità del lavoro e delle tutele, espungendo forme di occupazione irregolari o senza alcuna garanzia, faciliterebbero un percorso di avvicinamento e di recupero delle persone più deboli nel mondo del lavoro».

Le altre proposte riguardano i servizi al lavoro e la formazione: «In attesa che il piano di rafforzamento dei servizi pubblici, navigator compresi, cominci a dare qualche pur minimo risultato - aggiunge Ramazza - sarebbe utile sedersi a tavolino e capire quali sono le condizioni minime affinché la rete di privati possa fornire un reale contributo nella gestione delle transizioni del mercato del lavoro, quali i servizi che occorrono realmente, quali le modalità di presa in carico e gestione dei cittadini».

Infine sulla formazione - materia di competenza regionale - «è forse giunto il momento - chiosa il numero uno di Assolavoro - di rendere obbligatorio il placement, pena la perdita di risorse economiche. Basterebbe prevedere che chi usa fondi pubblici per fare formazione possa accedere a quelle risorse solo se almeno un terzo dei formati trova una occupazione. Se cominciassimo a usare le ingentissime risorse disponibili sulla formazione professionale per finanziare la domanda (le esigenze delle persone) e non l’offerta (i budget dei centri di formazione), avremmo già fatto un bel passo in avanti».

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