Contrattazione

Flessibilità per orari e luoghi: il nodo chiave negli accordi

di Aldo Bottini

A prescindere dalle vicende di questi giorni, sono sempre di più le aziende che adottano modelli organizzativi che prevedono lo smart working e, pertanto, si trovano a dover redigere i relativi accordi individuali.

Tali accordi hanno un ruolo centrale: devono disciplinare l’esecuzione della prestazione lavorativa svolta all’esterno dei locali aziendali, anche con riguardo alle forme di esercizio del potere direttivo del datore di lavoro e agli strumenti utilizzati dal lavoratore. Inoltre, devono stabilire i riposi, i tempi di disconnessione dagli strumenti, l’esercizio del potere di controllo e le condotte disciplinarmente rilevanti.

Il documento, costituendo il pilastro su cui si regge l’istituto, va quindi redatto con particolare attenzione.

Non c’è un orario standard

Le principali questioni che nella pratica si pongono riguardano i temi dell’orario e del luogo di lavoro. Lo smart working, infatti, è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro «senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro» e «senza una postazione fissa» (articolo 1 della legge 81/2107) e, in questo, si differenzia nettamente dal vecchio telelavoro. Alla luce di ciò, non appare né necessario né opportuno, in via generale, fissare nell’accordo un preciso orario di lavoro, essendo nettamente più coerente con la natura dello strumento lasciare che sia il lavoratore ad auto organizzarsi.

La “rivoluzione” che lo smart working può portare nel mondo del lavoro, infatti, è proprio il passaggio da un sistema di valutazione basato sul tempo a uno basato sui risultati della prestazione. Naturalmente, a seconda delle necessità organizzative, potranno essere determinate fasce orarie di reperibilità o contattabilità, o, al limite, momenti della giornata in cui è necessario che il dipendente lavori, ma che in linea di massima non devono per forza coincidere con l’orario osservato quando si lavora in azienda.

L’unico limite che va posto è quello della durata massima dell’orario settimanale o giornaliero, il cui rispetto, insieme a quello (connesso) dei riposi, va richiamato nell’accordo. Da questo punto di vista, appaiono poco coerenti con la novità e la stessa disciplina legale dell’istituto quei contratti collettivi che impongono al lavoratore agile l’osservanza dello stesso orario applicato all'interno dell'azienda.

Circoscrivere i luoghi non tutela

Allo stesso modo, non ci sono, in generale, valide e convincenti ragioni per limitare la scelta, da parte del lavoratore, del luogo dove svolgere la prestazione. Su questo tema si deve registrare invece una tendenza, soprattutto da parte della contrattazione collettiva, a porre limiti e divieti, circoscrivendo i possibili luoghi di lavoro, in genere al domicilio del lavoratore o ad altre sedi aziendali, escludendone a priori altri, come i luoghi pubblici. La ragione di ciò viene spesso ricondotta alla tutela della salute e alla protezione dei dati aziendali, ma la tutela della salute, nel lavoro agile, si persegue con l’informazione sui rischi e la formazione, oltre che sulla cooperazione del lavoratore nell’attuazione delle regole di prevenzione, e non sulla scelta di particolari luoghi, rispetto ad alcuni dei quali peraltro (ad esempio, il domicilio) il datore non può fornire alcuna garanzia.

La protezione dati

Quanto alla protezione dei dati, meglio affidarla a misure tecniche (password, reti protette) e a stringenti regole comportamentali. Bisognerebbe, insomma, evitare di “imbrigliare” lo smart working con regole e divieti assai poco agili e non in linea con lo spirito della legge, che lo riportino a una forma di lavoro più somigliante al suo antenato, il telelavoro. Invece, purtroppo, si registra talvolta nella contrattazione collettiva una sorta di istinto regolatorio (molte volte ingiustificato), dal quale traspare una certa preoccupazione di fronte ad una modalità lavorativa potenzialmente in grado di scardinare le tradizionali coordinate spazio-temporali del lavoro subordinato.

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