Contrattazione

Abolire i limiti ai contratti a termine è un fatto di equità

di Arturo Maresca

Anche le norme che disciplinano il lavoro subordinato dovranno essere adeguate per favorire la ripresa dell’attività produttiva nella Fase 2, iniziando da quelle necessarie a garantire la sicurezza di chi rientra al lavoro e proseguendo con quelle a sostegno dell’occupazione. Tra queste ultime assumono una particolare importanza le norme sul lavoro a termine (diretto o somministrato) rispetto alle quali ci si deve porre la domanda se i vincoli da esse posti in tempi di normalità siano funzionali anche a sostenere l’occupazione nella Fase 2.

Ci sono molteplici e oggettive ragioni che dovrebbero indurre a un allentamento degli attuali vincoli. La prima si evidenzia in relazione all’estrema incertezza della ripresa economica che accompagnerà la Fase 2 e renderà assai improbabile la decisione delle imprese di effettuare assunzioni a tempo indeterminato, in quanto esse implicano il rischio della stabilizzazione dei rapporti di lavoro.

Un rischio di cui le imprese si dovrebbero far carico, per di più, in un momento in cui il legislatore ha vietato temporaneamente i licenziamenti individuali per motivi organizzativi e quelli collettivi (decreto cura Italia, articolo 46) e condiziona l’accesso alla liquidità per le imprese all’«impegno a gestire i livelli occupazionali attraverso accordi sindacali», senza peraltro alcun limite temporale (decreto Liquidità, articolo 1, comma 2, lettera l e comma 7, lettera d).

La determinazione delle imprese, assolutamente necessaria per affrontare la Fase 2, deve essere sostenuta dal legislatore (anche) consentendo tutte le assunzioni possibili (per drenare ogni deriva verso il lavoro irregolare), senza porre vincoli alla durata dei contratti di lavoro. In questo senso può considerarsi solo una anticipazione l’articolo 19 bis, inserito in fase di conversione al Dl 18, la cui sfera di applicazione è limitata alla coesistenza tra cassa integrazione e contratti a termine e di somministrazione.

Il legislatore dovrà porsi l’obiettivo della stabilizzazione di questi contratti quando finalmente saremo nella Fase 3 (il ritorno a situazioni di mercato normali), incentivando le imprese a confermare i lavoratori utilizzati a termine nella Fase 2. Peraltro l’allentamento degli attuali vincoli al lavoro temporaneo si palesa doveroso per evidenti motivi di equità sociale nei confronti dei lavoratori a termine di cui le imprese si avvalevano nel momento in cui tutti noi siamo stati sopraffatti dalla pandemia del Covid-19.

Le limitazioni al lavoro temporaneo sono da sempre finalizzate a favorirne la trasformazione a tempo indeterminato, impendendo al datore di lavoro di reiterare o prorogare i contratti a termine con lo stesso lavoratore oltre un periodo massimo che il decreto dignità ha drasticamente ridotto a 12 mesi. Esaurito questo periodo, l’impresa dovrà scegliere se trasformare a tempo indeterminato il lavoro a termine oppure lasciare scadere i contratti in essere e procedere, nel caso migliore, a nuove assunzioni sempre a termine, ma con un diverso lavoratore.

Se questo meccanismo non viene corretto, si finirà per vanificare sostanzialmente le chance di trasformazione a tempo indeterminato dei lavoratori in servizio con un contratto a termine. In quanto, di fronte all’impossibilità di proseguire nell’utilizzazione a termine di questi lavoratori, le imprese saranno costrette a scegliere una delle tre possibili alternative: a) lasciare scadere i contratti a termine, riducendo il numero dei lavoratori attualmente occupati, ancorché a termine;
b) sostituire i lavoratori oggi in servizio a termine, assumendo nuovi lavoratori sempre a termine;
c) trasformare a tempo indeterminato gli attuali contratti a termine.

A legislazione invariata, l’ipotesi A è quella più probabile e con le conseguenze più negative: riduzione dell’occupazione, del gettito contributivo ed incremento della spesa per indennità di disoccupazione (naspi). L’ipotesi B comporterebbe nel migliore dei casi un effetto di sostituzione quanto al numero degli occupati, ma priverebbe le imprese dell’apporto (importante nella Fase 2) di lavoratori con una esperienza già maturata ed un’apprezzata utilità (in termini soggettivi e oggettivi) e questi ultimi vedrebbero frustrata la loro aspettativa ad essere confermati a tempo indeterminato, impraticabile per l’incertezza, con tendenza ad un netto peggioramento, che caratterizza l’attuale ciclo economico. Per queste ragioni l’ipotesi C avrebbe ben poche possibilità di concretizzarsi.

La soluzione che si impone è, quindi, quella di consentire rinnovi e proroghe dei contratti a termine per tutta la Fase 2, cercando così di indurre le imprese, quanto meno, a confermare gli attuali contratti di lavoro temporanei, rinviando a tempi migliori (Fase 3) le prospettive di stabilizzazione dei lavoratori oggi irrealizzabili.

Tale soluzione, peraltro, sarebbe coerente con quella che il legislatore ha inteso perseguire imponendo alle imprese di congelare gli organici che dovrebbe riguardare anche il mantenimento dei lavoratori occupati a termine rendendo possibile il rinnovo o la proroga dei loro contratti. Solo in tal modo si potrà evitare di scaricare sui lavoratori temporanei la contrazione dell’occupazione che si è inteso puntellare per i lavoratori a tempo indeterminato.

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