Contrattazione

Contratto ponte e mini aumento nelle grandi imprese alimentari

di Cristina Casadei

La prima firma di questa tornata del rinnovo del contratto dei lavoratori dell’industria alimentare è separata. Non sul fronte sindacale, ma su quello datoriale. È una separazione che pesa sicuramente molto per la forma delle relazioni sindacali e, in misura minore, per la sostanza. A questo proposito, infatti, l’accordo firmato da Fai Cisl, Flai Cgil e Uila Uil con 3 delle 13 associazioni di Federalimentare, Unionfood (450 grandi aziende, da Lavazza a Barilla, da illy a Ferrero con un giro d’affari di 36 miliardi, 12 miliardi di export e 65mila addetti), Ancit (conservieri ittici e tonnare) e AssoBirra è un accordo ponte che coprirà il periodo che va da dicembre del 2019, ossia la scadenza del contratto, fino alla fine di quest’anno. Prevede che «nel mese di maggio e con decorrenza 1° dicembre 2019 verrà riconosciuto un incremento retributivo a parametro 137 di 21,43 euro lordi», si legge nel testo. Le parti si sono date atto reciprocamente che, con la corresponsione di quanto pattuito, sono assolti gli incrementi retributivi per l’intero anno 2020. E, naturalmente, si ritira lo stato di agitazione che doveva partire dal 9 maggio.

La situazione che si è creata è atipica e sembra sconfinare al di là dell’alimentare, per molte ragioni. Il presidente designato di Confindustria, Carlo Bonomi, nei giorni scorsi, quando è stata varata la squadra di presidenza aveva chiesto al Governo di agevolare «quel confronto leale e necessario in ogni impresa per ridefinire dal basso turni, orari di lavoro, numero giorni di lavoro settimanale e di settimane in questo 2020», «da definire in ogni impresa e settore al di là delle norme contrattuali», perché «senza questo sforzo collettivo la ripresa resta sotto ipoteca». Infatti «è impossibile pensare di perdere 8/10% del pil e che dopo due mesi possa tutto ritornare come disposto dai contratti vigenti». In riferimento al settore, sugli aumenti richiesti aveva osservato che «quella che sta iniziando è la stagione dei doveri e dei sacrifici, per tutti. Quando sento chiedere aumenti contrattuali, per esempio nell’alimentare, significa che a molti la situazione non è chiara».

Nella trattativa emergono sicuramente due aspetti: il primo riguarda il metodo e la forma. Il contratto precedente, siglato il 5 febbraio del 2016, era stato siglato da Federalimentare e da Fai, Flai e Uila e da molti mesi erano in corso trattative tra le parti per rinnovare il contratto. Trattative che, essendo partite da una richiesta da parte dei sindacati di 205 euro di aumento, oltre al welfare, sono sempre andate avanti faticosamente. L’emergenza sanitaria ha poi creato ulteriori difficoltà per via dell’impatto forte anche sul settore, che, se è vero che ha continuato a lavorare, lo ho fatto in maniere diversa, da settore a settore, da azienda ad azienda.

La frammentazione che si è creata, adesso, però, va ricomposta perché l’obiettivo è, come ha spiegato nettamente Ivano Gualerzi della Flai Cgil, «di non lasciare indietro nessuno». Difficile, però, immaginare che non vi siano ripercussioni su chi, sia aziende che lavoratori, si trova nella parte finale della filiera, soprattutto in una fase di grande incertezza, dovuta all’emergenza sanitaria in corso. L’aumento dei costi non potrà certo essere scaricato né sui prezzi dei prodotti ai consumatori, né sui conti. Non è un caso che l’accordo ha il respiro di pochi mesi, fino alla fine dell’anno, e non quello quadriennale che avrebbe dovuto avere il contratto degli alimentaristi che Federalimentare stava discutendo con i sindacati.

Il primo effetto di questo rinnovo è stata la sospensione dello stato di agitazione nel settore. Come spiega una nota unitaria «in ragione dell’accordo raggiunto e in attesa di un’adesione più ampia degli altri settori associati a Federalimentare, Fai-Flai-Uila hanno deciso di revocare le azioni di lotta, proclamate a partire dal 9 maggio. Tali misure, come il blocco di straordinari e delle flessibilità, verranno messe in atto, a partire dal 13 maggio, solo nelle aziende che non avranno, nel frattempo, aderito all’accordo». Una richiesta da parte sindacale che appare ancora una volta inedita. In primo luogo perché i sindacati chiedono alle aziende di firmare per adesione e quindi non in seguito alla condivisione di un percorso negoziale. In secondo luogo perché detta i tempi di questa eventuale adesione. C’è tempo fino al 13 maggio. Poi, l’accordo fissa per il 14 maggio un primo incontro con le tre associazioni per proseguire le trattative di rinnovo del contratto industria alimentare, interrotte il 21 febbraio. Fai, Flai e Uila «rimangono convinte della necessità di riprendere un confronto negoziale che porti al rinnovo del contratto industria alimentare per l’intero quadriennio di vigenza e continueranno ad impegnarsi per raggiungere questo obiettivo». Una convinzione, quella della necessità di arrivare a un rinnovo contrattuale, che era stata espressa chiaramente anche da Federalimentare (si veda il Sole 24 Ore del 28 aprile) che aveva però chiesto tempi più lunghi, suggerendo di riaggiornarsi alla fine di maggio e spiegando che «un accordo per il 2020 magari riusciremo a raggiungerlo, ma il contratto dell’alimentare dura 4 anni e lo scenario che abbiamo di fronte è stravolto. Ogni settore deve capire al proprio interno come risollevarsi».

La raccolta, da parte dei sindacati, delle firme per adesione al rinnovo del contratto siglato l’altra sera non sembra però facile. Per esempio, da Assica, il presidente Nicola Levoni spiega che «l’iniziativa di alcune associazioni, che hanno autonomamente sottoscritto un accordo con i sindacati ci ha molto sorpresi, soprattutto per il metodo. Riteniamo in ogni caso fondamentale il ruolo di coordinamento di Federalimentare, che ha esperienza e competenza necessarie per gestire le problematiche sindacali e che deve poter continuare a svolgere il suo ruolo in piena legittimità con l’obiettivo di chiudere un contratto equo, con la consapevolezza che l’incertezza per la situazione economica generale ci accompagnerà ancora per molti mesi». Da Assobibe spiegano che «si tratta di una iniziativa concertata tra alcune associazioni e i sindacati, senza un coinvolgimento diretto né di Assobibe né di altre categorie firmatarie del contratto industria alimentare. Siamo quindi rimasti sorpresi. Ad ogni modo, riteniamo che vadano considerate le diverse realtà, grandi e piccole con le specificità legate al momento. I settori non di prima necessità, riscontrano un calo significativo delle attività, ancor più con la chiusura del canale horeca, che vale il 40% del fatturato per il nostro settore e che riprenderà con limitazioni». Anicav esprime «forte rammarico per la rottura dell’unitarietà del tavolo che di fatto ha messo in discussione il ruolo di coordinamento di Federalimentare. Una situazione che non giova a nessuna delle parti e che andrebbe immediatamente sanata. L’Anicav è pronta a dare il proprio contributo, anche partendo dalle proposte in campo sulle quali ha già avviato una riflessione interna, al fine di definire, nei prossimi giorni, la propria posizione nell’interesse delle aziende associate e dei lavoratori».

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