Contrattazione

Proroga o rinnovo dei contratti senza causale

di Giampiero Falasca

Sospensione delle causali introdotte dal decreto dignità (Dl 87/2018) fino al 30 agosto per il rinnovo o la proroga dei contratti a termine (anche a scopo di somministrazione) in corso di esecuzione alla data di entrata in vigore del decreto rilancio.

Questa la regola contenuta nell’articolo 99 del provvedimento approvato mercoledì dal Governo: una norma opportuna, in quanto persegue la finalità di tenere in piedi, in un momento di grande difficoltà del sistema economico, tanti rapporti a termine che, applicando le regole normali, non sarebbe stato possibile mantenere o riprendere in azienda. Questa finalità viene, tuttavia, in parte depotenziata da alcune imprecisioni tecniche che potrebbero limitare gli effetti della norma.

La disapplicazione dell’obbligo di indicazione delle causali si applica al rinnovo (la stipula di un nuovo contratto tra due soggetti che hanno già avuto uno precedente, ormai scaduto) e alla proroga (lo spostamento in avanti nel tempo della data di scadenza di un rapporto ancora in corso): in entrambi i casi l’azienda non dovrà indicare la sussistenza di una delle causali introdotte dal decreto dignità.

Questa disposizione è chiara, ma sembra entrare in conflitto con l’incipit della norma, nella parte in cui si prevede che tale facoltà viene riconosciuta «per far fronte al riavvio delle attività in conseguenza dell’emergenza epidemiologica da Covid-19». Il senso di questo questo inciso è davvero oscuro, se si considera che la finalità della norma è chiara, come precisa la stessa relazione illustrativa: esonerare tutti i datori di lavoro e gli utilizzatori dall’onere di indicare la causale.

Il riferimento alla necessità di fronteggiare la fase di «riavvio delle attività» potrebbe ingenerare il dubbio che il regime di acausalità sia applicabile solo dalle imprese che hanno l’esigenza di far ripartire l’attività dopo l’emergenza sanitaria. Se venisse accolta questa lettura, la causale, dopo essere uscita dalla porta, rientrerebbe dalla finestra, dovendosi discutere caso per caso se sussiste l’esigenza di ravvio dell’attività.

Sarebbe importante che in sede di conversione del decreto tale inciso fosse rimosso, onde evitare di generare contenzioso interpretativo di cui nessuno avverte il bisogno.

Un altro aspetto critico della norma riguarda il riferimento ai contratti «in essere»: leggendo questa indicazione in senso stretto, la facoltà di rinnovo verrebbe preclusa a tutti i contratti scaduti prima dell’entrata in vigore del decreto, così come a quelli stipulati dopo tale data. Sarebbe una limitazione priva di senso.

Un ultimo dubbio interpretativo riguarda l’estensione della proroga o del rinnovo: l’articolo 99 non chiarisce se il 30 agosto debba essere considerata come data ultima per la sottoscrizione di un accordo di proroga o rinnovo, la cui durata potrà raggiungere quella prevista dalle regole ordinarie o se, invece, il 30 agosto costituisca la data entro cui deve scadere il contratto acausale. Anche questo dubbio, molto importante, dovrà essere sciolto dalla legge di conversione.

Non ci sono dubbi, invece, sull’applicabilità della nuova regola ai contratti a scopo di somministrazione di manodopera in quanto sono stati collocati dal decreto dignità, ai fini della causale, all’interno dell’articolo 19 del Dlgs 81/2015, con la conseguenza che seguono le regole degli altri rapporti a tempo ordinari.

Infine, va ricordato che la legge di conversione del decreto cura Italia era già intervenuta per consentire la proroga e il rinnovo dei contratti, seppur con causale, per le aziende che fanno ricorso agli ammortizzatori Covid: una misura che, combinata con quella odierna, può dare importanti risultati occupazionali, a patto che le piccole-grandi trappole sopra descritte siano risolte in sede di conversione.

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