Contrattazione

Il pharma crea nuovi posti con l’intelligenza artificiale

di Antonio Larizza

Ripartire senza essersi mai fermati. È quello che è successo all’industria farmaceutica italiana. L’emergenza Covid ha sottoposto la filiera a uno stress test produttivo, ma ha anche attivato leve capaci di accelerare il cambiamento che sta per rivoluzionare il settore: secondo un recente studio condotto da Abi Research (Taking stock of Covid-19, marzo 2020) gli investimenti in intelligenza artificiale dell’industria farmaceutica passeranno nel mondo dai 462 milioni di dollari del 2019 agli oltre 2 miliardi stimati per il 2025. Con ricadute positive sull’occupazione.

«È vero – conferma Massimo Scaccabarozzi, presidente Farmindustria – non ci siamo mai fermati: non potevamo far mancare farmaci a tutti coloro che vivono grazie ai nostri medicinali». Dopo i primi segnali dalla Cina, Farmindustria ha creato cinque task force in altrettante aree: organizzazione del lavoro, continuità produttiva, distribuzione, continuità della ricerca e informazione scientifica. «Ci siamo mossi in anticipo, questo ci ha aiutato: non solo non abbiamo perso collaboratori, ma siamo il settore dove i lavoratori hanno perso meno ore». Il presidente di Farmindustria ricorda che «solo il 10% delle imprese (meno di 20, ndr) ha usato la cassa integrazione. Si tratta – precisa – in prevalenza di piccole aziende, che insieme impiegano meno del 3% degli addetti del settore».

La filiera dà lavoro a 67mila addetti. Tra il 2014 e il 2019 l’occupazione è cresciuta del 10%, più del doppio rispetto alla media della manifattura italiana. L’85% della produzione va all’estero. Farmindustria riunisce 200 imprese ad alto tasso di innovazione, come conferma il fatto che l’Italia è il primo paese per investimenti farmaceutici americani e tedeschi. «Oggi - sottolinea Scaccabarozzi - una società italiana guida il consorzio europeo che sfrutta il supercalcolo e l’intelligenza artificiale per trovare una terapia efficace contro il Covid-19».

Il riferimento è a Dompé Farmaceutici. L’azienda - 800 dipendenti a livello globale, 450 milioni di ricavi nel 2019 – è capofila del consorzio Exscalate4Cov, che a marzo ha ricevuto 3 milioni di euro dall’Ue nell’ambito dei fondi alla ricerca per l’emergenza coronavirus. Il consorzio sfrutta la piattaforma di supercalcolo Exscalate, realizzata da Politecnico di Milano, Cineca e gruppo Dompé, che ne è il proprietario. Sfruttando tecniche di virtualizzazione molecolare, può testare le potenzialità di farmaci e molecole contro il Covid a ritmo di 50 milioni di miliardi di operazioni al secondo.

Anche grazie a questa iniziativa, da inizio anno Dompé Farmaceutici ha assunto 62 persone e continua a investire in competenze, con altre 20 posizione aperte. «Tra le figure più ricercate – spiega il direttore risorse umane Andrea Astolfi – ci sono quelle relative a chimica computazionale, sviluppo clinico, trasferimento tecnologico, safety medica e procurement, oltre a manager per It, supply chain, area medica, licensing e regulatory affairs».

È sempre di questi giorni la notizia che il gruppo Menarini ha scelto l’Italia per aprire un nuovo stabilimento produttivo, a Sesto Fiorentino: 150 milioni di investimento e 250 assunzioni previste. «L’annuncio – ha commentato Nora Garofalo, segretaria generale Femca-Cisl - dimostra che il settore farmaceutico italiano è strategico sia nel nostro paese che a livello europeo».

Tra le società in prima linea c’è anche il gruppo Irbm di Pomezia, che attraverso la controllata Advent partecipa alla corsa del vaccino per il Covid-19. Nata nel 2010, oggi impiega 250 persone e fattura 40 milioni di euro. «Durante l’emergenza – spiega Matteo Liguori, amministratore delegato Irbm - la forza lavoro è cresciuta del 15%, non solo per il vaccino: alcuni nostri partner rimasti bloccati ci hanno chiesto di assumere persone per evitare rallentamenti su farmaci in corso di sviluppo». Nei prossimi mesi l’unità che si occupa del vaccino, composta da 30 persone, crescerà in termini di addetti «tra il 30 e il 40%». Irbm – che ha già prodotto e spedito all’Università di Oxford 13mila dosi del proprio candidato vaccino per i test di fase 2 e 3 – assumerà una decina tra ricercatori, tecnici di laboratorio ed esperti di produzione.

Tutti gli indicatori parlano di un settore in controtendenza. «Mentre il mercato del lavoro online ha subito un rallentamento a causa del Covid-19, chiudendo il primo trimestre 2020 a -10%, il settore healthcare ha registrato un +52%», spiega Filippo Saini, Head of jobs di InfoJobs Italia. Secondo un’analisi condotta per Il Sole 24 Ore dall’ufficio job placement dell’Università di Milano Bicocca sugli annunci di lavoro rivolti ai laureati delle aree chimico-farmaceutico e geo-biologico, il 55,5% delle posizioni aperte riguarda attività di marketing&vendite (informatore scientifico, regulatory affairs, back office, tecnico commerciale, customer care), il 24% quelle di ricerca&sviluppo e il 20,5% le operations.

«La digitalizzazione ha imposto un cambio di profili e competenze», conferma Maria Luisa Sartore, Hr manager&labor relation head di Bayer Italia che, nel 2018, con lo stabilimento produttivo di Garbagnate (Milano) è entrata nella classifica dei nove migliori stabilimenti 4.0 del mondo stilata dal World economic forum. Il sito di Garbagnate, unico italiano presente in classifica, oggi occupa 420 persone (dei 1650 dipendenti Bayer presenti in Italia), di cui 100 assunte negli ultimi due anni. Nel polo attualmente lavorano 3 data scientist, due sono le posizioni aperte nel gruppo per questo ruolo.

«La spinta su Industria 4.0 – spiega Sartore – ci ha fatto capire che i data scientist non funzionano se presi da soli. Hanno una conoscenza molto specialistica. Per questo abbiamo introdotto la figura del translator: persone con lauree in discipline scientifiche che conoscono le necessità della produzione, capaci di far parlare i due mondi, quello della produzione e quello dei big data». Bayer ha introdotto i translator anche nell’area commerciale: «Li abbiamo chiamati agile coach, sono per lo più laureati in scienze sociali: mettono in contatto venditori e data scientist», spiega Sartore.

Digitalizzazione centrale anche in Novartis. Dal 1° settembre a dirigere le risorse umane del gruppo in Italia sarà Elise Faure, che assumerà l’incarico di Country & Pharma People&Organization (P&O) head per il nostro paese. Una scelta strategica, che segna una convergenza tra la gestione risorse umane e l’area digitale. Faure attualmente ricopre infatti il ruolo di P&O head della funzione It a livello globale per Novartis: è lei che, durante l’emergenza, ha reso possibile lo smart working in tutto il gruppo.

«Nel settore l’evoluzione delle competenze richieste – spiega Sabino Di Matteo – direttore dello stabilimento Novartis di Torre Annunziata - è in corso da tempo, ma è stata sancita in modo chiaro dall’emergenza: abbiamo potuto garantire continuità solo perché al nostro interno avevamo già processi, professionalità e competenze necessari per reimmaginare la produzione in un contesto di crisi». Cultura della leadership e autonomia del singolo nel lavoro di team sono le qualità dove, secondo Di Matteo, va cercato il potenziale dei canditati. Tra le hard skills richieste «conoscenze in automazione, digitalizzazione, meccatronica e intelligenza artificiale». A Torre Annunziata Novartis impiega 450 persone su tre aree: cardiometabolica, neurologica e oncologica. Nella linea cardiometabolica, mentre il Paese era in lockdown, lo stabilimento ha segnato un record produttivo.

Nel periodo di lockdown anche Sanofi Italia ha continuato a inserire nuovi collaboratori, una quindicina: sia nelle funzioni di business che di supporto. Tra le posizioni che si apriranno a breve manutentori meccanici ed elettrici, ingegneri di processo e di progetto: Sanofi utilizza già veicoli autonomi per la movimentazione delle merci e robot collaborativi in alcuni processi produttivi. Per far fronte alla crisi sanitaria, nei 4 stabilimenti del gruppo in Italia (Origgio, Anagni, Scoppito e Brindisi) una ventina di stage sono stati trasformati in contratti di assunzione. L’azienda ha siglato un accordo sindacale per estendere lo smart working a cinque giorni a settimana per i 600 collaboratori delle sedi di Milano, Modena e Roma.

Sanofi riparte, senza essersi fermata, anche sul fronte produttivo, di nuovo riconoscendo all’Italia un ruolo strategico. Per bilanciare la forte dipendenza europea dai paesi dell’Asia nella produzione di principi attivi - le molecole che conferiscono gli effetti terapeutici ai farmaci - il gruppo ha annunciato la nascita di una società indipendente - 3.100 addetti qualificati, 1 milardo di euro di vendite attese entro il 2022 - che integrerà tutte le attività relative ai principi attivi in sei dei siti produttivi Sanofi europei, tra cui quello italiano di Brindisi.

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