Contrattazione

Il divieto di recesso non vale per i dirigenti

di Franco Toffoletto

Il divieto di licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo fino al 17 agosto non si applica ai dirigenti. E non potrebbe che essere così, perché la fonte normativa che disciplina il recesso dal rapporto di lavoro con un dirigente è l’articolo 2118 del Codice civile, il quale non dispone che il licenziamento debba essere motivato.

È solo la contrattazione collettiva relativa a questa categoria di lavoratori subordinati che (se applicabile) impone, senza fornire definizioni, che il licenziamento sia motivato, lasciando poi al giudice il compito di attribuire, nel caso di «non giustificatezza» una penale al dirigente licenziato, conseguente all’inadempimento dell’obbligo della motivazione contrattualmente stabilita. Quindi un rimedio pecuniario contrattuale e non legislativo e non sempre applicabile.

Ne discende che è assai chiaro e preciso, e non interpretabile altrimenti, l’articolo 46 del Dl 18/2020, così come convertito dalla legge 27/2020 e modificato dal Dl 34/2020. Il quale, oltre a sospendere le procedure di licenziamento collettivo avviate dopo il 23 febbraio 2020, introduce il divieto di avviare procedure di licenziamento collettivo e di fare ricorso a licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo in base all’articolo 3 della legge 604/1966, che li definisce come licenziamenti con preavviso determinati da «ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa». Norma che non si applica, appunto, ai dirigenti, come dispone l’articolo 10 della legge del 1966, confermato nella sua validità dalla sentenza della Corte costituzionale 121/1972, in considerazione del fatto che «la categoria dei dirigenti presenta peculiari caratteristiche che sono oggetto di una disciplina particolare».

Proprio per tali «peculiari caratteristiche», l’esclusione del divieto di licenziare i dirigenti nel periodo emergenziale, oltre a essere stata espressa in modo molto chiaro dalla lettera della norma prima citata, è, del resto, del tutto coerente con la posizione organizzativa ricoperta dal dirigente. Come scriveva mio padre Umberto sulla Rivista di Diritto del Lavoro del 1953, «l’imprenditore comanda, dirige l’impresa su un piano strategico: il dirigente collabora nel raggiungimento dell’obiettivo strategico dirigendo l’impresa su un piano tattico: trasforma la direttiva strategica e la adegua accomodandola, in ordine tattico, coordinando l’impiego delle forze e dei mezzi messi a disposizione dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa stessa ed indirizzando l’attività degli altri prestatori di lavoro. In questa trasformazione nella natura del comando si sostanzia, secondo me, la mansione prima del dirigente».

Per questa posizione peculiare all’interno dell’organizzazione aziendale, il dirigente è stato, nella storia, oggetto di una disciplina parzialmente diversa da quella degli altri prestatori di lavoro. E ciò sin da quando la categoria dirigenziale ha fatto il suo ingresso nel diritto del lavoro, con la creazione nel 1926 di un’organizzazione sindacale dedicata ai dirigenti e poi con il riconoscimento dei dirigenti come categoria legale distinta da quella impiegatizia, introdotto nell’articolo 2095 del Codice civile del 1942. L’esclusione dei dirigenti dal divieto di licenziamento nel periodo emergenziale non sorprende, quindi, ma è pienamente coerente con la differente posizione organizzativa dei dirigenti, prima ancora che con la storica differente disciplina, legislativa e contrattuale, a questi applicabile.

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