Contrattazione

L’attuazione tardiva delle regole Ue non alza l’indennizzo

di Pasquale Dui

Per il Tribunale di Roma (sentenza 5717 del 2 aprile 2020), il criterio di quantificazione dell’indennità sostituiva della reintegra del dirigente illegittimamente licenziato in un licenziamento collettivo, prevista dall’articolo 24 comma 1-quinquies della legge 223/1991 (12-24 mensilità), non può rappresentare un parametro di valutazione del danno derivato ai dirigenti dalla mancata attuazione da parte del legislatore della direttiva 98/59/Ce, trattandosi di situazioni differenti.

Nel primo caso, non potendo il dirigente essere reintegrato per legge a fronte di un licenziamento illegittimo, può godere di una indennità sostituiva indicata dalla norma tra un minimo e un massimo a seconda della natura e della gravità della violazione. La misura sanzionatoria mira a indennizzare il danno subito dal dirigente che non doveva essere licenziato, essendo il licenziamento illegittimo (e senza possibilità di reintegra).

Diverso il secondo caso: la direttiva 98/59/Ce del 20 luglio 1998, che ha modificato le direttive 75/129/Cee e 92/56/Cee, per avvicinare le legislazioni degli Stati membri sui licenziamenti collettivi e rafforzare la tutela dei lavoratori, ha indicato una procedura omogenea suddivisa in due fasi. La prima volta a vagliare la possibilità di evitare o ridurre i licenziamenti o, se ciò non sia possibile, diretta ad attenuarne le conseguenze, con strumenti di sostegno del reddito. La seconda, nella quale il datore di lavoro notifica il progetto di licenziamento dando atto dei motivi, del numero dei lavoratori che dovranno essere licenziati e dei criteri di scelta usati. Il licenziamento deve avvenire alla luce degli accordi raggiunti, nella procedura, con le rappresentanze sindacali di categoria.

Il legislatore nazionale ha recepito questa direttiva con la legge 223/1991, escludendo i dirigenti alla procedura di licenziamento collettivo, sul presupposto che le disposizioni interne sui dirigenti recassero una disciplina più favorevole della direttiva, fatta salva dall’articolo 5 della stessa. Nel 2014, tuttavia, con la legge 161/2014, il legislatore si è dovuto adeguare a quanto deciso dalla Corte di giustizia Ue e ha quindi modificato la legge estendendo l’iter di riduzione del personale anche ai dirigenti (articolo 24, comma 1 quinquies della legge 223/1991).

Nel caso esaminato dal Tribunale di Roma, una società ha risolto i rapporti di lavoro con tutto il personale (dirigenti e non), senza ricorrere ai criteri di scelta (carichi di famiglia, anzianità, esigenze tecnico-produttive e organizzative): il licenziamento era dunque l’unica strada percorribile. Tuttavia i dirigenti hanno fatto causa alla Presidenza del Consiglio chiedendo i danni proprio perchè esclusi dalla procedura di licenziamento collettivo a causa del tardivo recepimento delle direttiva Ue in materia. Il Tribunale ha ritenuto che i dirigenti estromessi dalla procedura non abbiano però perso alcuna chance di evitare il licenziamento: infatti, come tutti gli altri, sarebbero stati comunque licenziati. Il danno subito con l’estromissione, invece, è stato quello del mancato accesso agli ammortizzatori, quantificato nell’importo corrispondente alla misura massima delle erogazioni cui avrebbero avuto diritto dal Fondo di solidarietà del settore credito. Niente di meno ma neppure nulla di più.

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