Contrattazione

L’auto elettrica cerca tute blu tra softwaristi e ingegneri

di Antonio Larizza

L’emergenza Covid-19 ha generato un crollo delle immatricolazioni di auto, quasi azzerate nei mesi del lockdown. Nel medio periodo, però, gli analisti scommettono sul fatto che le vendite torneranno a crescere, con trend al di sopra della media, come accadde nel 2012, dopo la crisi di mercato seguita alla recessione globale del 2008. I consumatori torneranno a comprare auto. Ma che tipo di auto? L’intera filiera si sta preparando a questa sfida nella sfida. Anche facendo ricorso a nuove competenze.

«Il mondo va verso l’elettrico». Francesco De Lucia, un passato da dirigente in Ferrari, oggi è amministratore delegato di Comimport, azienda che progetta e costruisce impianti per saldare materie plastiche di plance e cruscotti. Tra i progetti in corso, la commessa di un impianto per saldare particolari plastici del pacco batterie destinato a un’auto sportiva italiana.

«L’automotive del futuro – spiega De Lucia – richiederà risorse umane con livelli di scolarità e istruzione molto alti». Esperti in ingegneria elettronica e dei materiali. «Si lavorerà molto – continua – sull’alleggerimento della vettura: trend in atto da 20 anni, ma ora più strategico».

Lo ha compreso l’emiliana Poggipolini, azienda esperta nella progettazione di bulloni in titanio e leghe speciali, che vantano un peso ridotto di oltre il 50% rispetto alle versioni in acciaio utilizzate nell’automotive. Le sue viti, nate per la F1, sono diffuse nell’industria aeronautica e di serie su supersportive come Lamborghini e Ferrari: impiegarle permette un risparmio medio a vettura che può arrivare fino a 20 kg di peso. Il prossimo mercato, per Poggipolini, arriverà dall’auto elettrica e ibrida, dove il fattore peso è cruciale.

Per agganciare questa ondata, sfruttando anche un contribuito europeo di 2 milioni di euro (Sme instrument), dopo 5 anni di ricerca e sviluppo l’azienda ha recentemente brevettato un processo industriale capace di aumentare la capacità di produzione: da 1 vite al minuto realizzata con il processo standard, si passa a 100 viti al minuto. Le prime linee sono state installate nel nuovo stabilimento di 20mila metri quadrati operativo dal novembre 2019. Una smart factory, che oggi impiega 85 dipendenti. «Entro i prossimi 5 anni – spiega Michele Poggipolini, executive director dell’azienda – contiamo di raddoppiare la forza lavoro, consolidando la presenza nell’aeronautico e agganciando l’automotive, che per noi diventerà un settore con volumi importanti a partire dal 2022, grazie alla spinta dell’elettrico».

L’effetto-elettrico è già realtà a Baranzate, alle porte di Milano, deve la Euro Group produce statori e rotori per motori elettrici. Il gruppo opera in più settori: l’automotive è uno di questi e genera il 35% del fatturato. Il 20% degli ordini arriva dai veicoli tradizionali, il resto è generato dal nuovo trend dell’elettrificazione. In pieno lockdown, la linea di ricavi legati ai veicoli elettrici e ibridi è cresciuta del 157%. «Dal 2016 in poi – spiega Marco Arduini, amministratore delegato di Euro Group – abbiamo acquisito una serie di commesse da parte delle case automobilistiche relative a piattaforme in fase di lancio». Sono le piattaforme con cui marchi come Porsche e Volkswagen puntano per produrre i nuovi modelli elettrici, che entro i prossimi 2-3 anni saranno al massimo della loro capacità.

Arduini racconta che, dopo l’emergenza, in Volkswagen «le prime fabbriche ripartite sono state quelle legate alla produzione di auto elettriche». In generale, «gli unici programmi che mostrano ordinativi in controtendenza sono quelli legati all’elettrificazione: i nostri clienti hanno anticipato al 2020 i volumi del 2021». L’amministratore delegato Euro Group, che oggi impiega 2000 dipendenti nel mondo e che nel corso del 2020 prevede tra 50 e 70 nuove assunzioni, ricorda come «la stessa Germania, in un momento così difficile per la sua industria dell’auto, abbia varato un piano di incentivi per auto ibride o elettriche». Segnando un punto di non ritorno.

Si stima che il tempo di produzione di un’auto elettrica sia inferiore del 40% rispetto a quello di un’auto tradizionale. Questo significa che richiederà anche il 40% di forza lavoro in meno. Il saldo negativo si potrà colmare, a patto di una forte riconversione. Secondo Marco Rollero, vehicle group vice president worldwide di Eaton, multinazionale che sviluppa tecnologie per l’ottimizzazione dell’energia, la produzione di auto elettriche richiederà un salto di paradigma: il passaggio da competenze limitate al veicolo a competenze su veicolo e infrastruttura. Spiega Rollero: «Mentre fino a oggi chi lavorava nell’automotive si doveva avvalere di competenze limitate alla piattaforma auto, ora serviranno competenze di integrazione nella rete. Chi lavorava nell’auto, per esempio, non si è mai dovuto preoccupare di come erano fatti i distributori di rifornimento. Ora invece dovrà farlo». La divisione automotive di Eaton impiega un migliaio di persone, per oltre il 50% impegnate in progetti legati all’auto a batteria.

La necessità di connettere l’auto elettrica e autonoma con l’infrastruttura genererà sempre più nuovi mercati. Paolo Bocca, account director Tomtom automotive, lavora a Torino per l’azienda Olandese specializzata in mappe e navigatori satellitari nata negli anni 90, che impiega nel mondo 5mila persone. Nel 2007 è stato inserito, insieme ad altri 6 colleghi, nel team che avrebbe operato nella nascente divisione “automotive”, che oggi coinvolge, a vario titolo, 900 dipendenti del gruppo.

Tomtom Automotive è stata la prima a lanciare i servizi di navigazione connessi al traffico in tempo reale. Oggi la divisione fornisce quasi tutte le case europee. Tra i clienti storici, Fiat-Fca. Ma è firmato Tomtom, per esempio, anche il software di navigazione di Bmw e Daimler. «Le prospettive occupazionali pre-Covid erano di crescita. Oggi – ammette Bocca – in Italia teniamo la posizione. Stiamo continuando ad assumere in Olanda. Cerchiamo softwaristi molto competenti».

Per Tomtom, che vive le concorrenza di giganti come Google, Apple Carplay e Android Auto, l’elettrico è un’opportunità. «Implica – spiega Bocca – nuove funzionalità di navigazione, con un costante richiamo ai dati della vettura: l’autonomia cambia ogni minuto a seconda di come l’utente guida, dell’itinerario e del traffico». Tutto questo sta creando nuovi filoni di ricerca, percorsi di studi ibridi e opportunità di carriera. «Studenti, ingegneri e informatici con formazione di alto livello sono attratti sempre più dalla mobilità e dal design di una navigazione evoluta – testimonia il manager Tomtom – che poi a sua volta servirà per migliorare i flussi all’interno delle città, con ricadute anche in ambito ambientale e sociale».

Per non farsi trovare impreparata, ogni casa automobilistica sta cercando di personalizzare il proprio approccio alla formazione. In questo scenario, l’Academy aperta da Fca a Melfi - lo storico stabilimento Fiat scelto da Fca per l’elettrificazione del marchio Jeep - rappresenta un modello unico per l’automotive. Prevede che ogni operaio debba sviluppare una mappa di 75 competenze - tecniche, di leadership e in metodologie di world class manufacturing - e per questo ha avviato oltre 300 moduli formativi. Si tratta di corsi scritti ed erogati da specialisti di stabilimento, senza cioè ricorrere a consulenti esterni. Operai formano operai. Nata sotto la supervisione di Alfredo Leggero, responsabile fabbriche mass market Fca Emea, l’Academy è stata poi “esportata” in altri stabilimenti del gruppo, per supportare la formazione di nuove competenza e formare risorse qualificate per operare in un settore, l’automotive, alle prese con il più importante salto di paradigma della propria storia.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©