Contrattazione

Lavoro agile e Pa, dopo il Ptfp e il Pdp arriva il «Pola»: tanti piani, niente strategia

di Francesco Verbaro

Il 2020 sarà ricordato come l’anno del lavoro agile nella Pa. Ma per non avere una (ulteriore) caduta della produttività e della qualità dei servizi, occorre che questo strumento di flessibilità venga introdotto sulla base di una conoscenza dell’amministrazione e di una moderna organizzazione del lavoro.

La nuova normativa introdotta in conversione nel decreto 34/2020 prevede che le amministrazioni organizzino il lavoro e i servizi con la flessibilità dell’orario, rivedendone l’articolazione giornaliera e settimanale, introducendo modalità di interlocuzione programmata, anche attraverso soluzioni digitali e non in presenza, con l’utenza, applicando il lavoro agile in maniera semplificata al 50% del personale nelle attività che possono essere svolte in questa modalità fino a fine 2020. A regime le Pa redigono, sentiti i sindacati, il Piano organizzativo del lavoro agile (Pola), quale sezione del Piano della Performance. Si aggiunge, secondo una consolidata logica add on, un Piano in più.

Pur apprezzando lo sforzo del legislatore, le Pa dovrebbero prima valutare bene quali strumenti di flessibilità hanno a disposizione e come, quando e quanto utilizzarli. Non esiste solo il lavoro agile e nel nostro caso le amministrazioni hanno di fatto adottato il telelavoro, quindi il Piano dovrebbe riguardare anche tale fattispecie; esso rischia di rivelarsi vuoto se serve solo a giustificare una percentuale elevata di personale collocato in lavoro agile; nessun riferimento alla pianificazione delle attività, alla strumentazione e alle competenze necessarie, a una gestione razionale delle postazioni di lavoro. Nella Pa manca la flessibilità per le rigidità contrattuali, la debolezza datoriale del dirigente pubblico e per i vincoli normativi, spesso introdotti come reazione al cattivo utilizzo di alcuni strumenti.
Vedi i risultati disastrosi nei contratti flessibili e nella contrattazione integrativa.

Correttamente il Pola è pensato come sezione del Piano della performance (PdP), ma rischia di finire sulla cattiva strada, data l’esperienza non sempre felice di questi Piani. I Piani della performance non misurano la produttività né tanto meno ambiscono a migliorarla. Certamente non riusciranno a illuminare i piani di lavoro agile. Anche i piani triennali dei fabbisogni di personale (Ptfp), collegati, dovrebbero essere impostati non come avviene oggi sulla base delle cessazioni da reintegrare, ma cercando di definire il personale necessario ad assicurare servizi in modo efficiente ed efficace con le migliori modalità di reclutamento. A voler essere buoni, almeno il 50% delle amministrazioni presenta questi documenti in notevole ritardo e con obiettivi poco rilevanti.

Pianificare è importante se i documenti prodotti sono significativi, non meri adempimenti. I piani triennali dei fabbisogni di personale sono i soliti documenti asfittici e ragionieristici fondati sulle cessazioni, nonostante il Dlgs 75/2017 e le linee guida del 2018. I piani triennali della formazione sono stati di fatto cancellati, in un mondo dove non si fa altro che parlare di formazione continua. Ci sono poi i piani per la comunicazione, per la digitalizzazione, per la prevenzione della corruzione, di cui ricordiamo solo norme e scadenze.

Intendiamoci, dovrebbero essere documenti scontati in un’organizzazione normale, ma nel pubblico sono imposti per legge anche con qualche pseudosanzione, come il mancato pagamento della retribuzione di risultato a cui non crede ormai più nessuno.

Potrebbe essere il Pola l’occasione per mettere ordine alla cattiva programmazione delle amministrazioni? Forse prima di aggiungere l’ennesimo “Piano” sarebbe stato meglio cercare di migliorare quelli già previsti.

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