Contrattazione

Rebus sul periodo da recuperare e sulle conseguenze generali

di Giampiero Falasca e Alessandro Rota Porta

La decisione di obbligare le imprese a prorogare i contratti a termine e di somministrazione (contenuta nella legge di conversione 77/2020 del decreto Rilancio, articolo 93, comma 1-bis) avrà un effetto molto negativo sulle aziende.

La norma stabilisce che per i lavoratori titolari di contratti a tempo determinato, anche in regime di somministrazione, il termine dei rispettivi rapporti viene prorogato nella misura equivalente al periodo in cui l’attività lavorativa è rimasta sospesa a causa dell’emergenza epidemiologica da Covid-19.

La norma presenta anche rilevanti problemi tecnici. Pur essendo chiara la portata complessiva della disposizione – obbligare le imprese ad allungare la durata dei rapporti a tempo per un periodo uguale al collocamento in cassa dei lavoratori, senza alcuno spazio discrezionale di scelta per il datore di lavoro – non sono chiare le modalità applicative della regole.

Un grosso dubbio interessa la somministrazione di manodopera, fattispecie che nasce da due contratti (un accordo commerciale, stipulato tra agenzia per il lavoro e impresa utilizzatrice, e un contratto di lavoro, stipulato tra il dipendente somministrato e l’agenzia). La legge dispone la proroga del solo contratto di lavoro, mentre si disinteressa della sorte del contratto commerciale. Appare evidente che anche questo rapporto dovrà essere prorogato, ma una maggiore chiarezza sarebbe stata opportuna.

Un altro problema applicativo può riguardare la durata della proroga: come si calcola il periodo da recuperare nel caso in cui il lavoratore sia stato sospeso in maniera saltuaria e intemittente (ad esempio solo alcuni giorni alla settimana oppure solo alcune ore, alternati con i giorni e ore lavorate)?

Considerato che il legislatore ha inteso agevolare il recupero dei soli periodi di lavoro persi, la durata della proroga dovrà essere calcolata considerando solo le giornate e le ore di effettiva fruizione della cassa, escludendo i periodi intermedi in cui il lavoratore ha percepito la normale retribuzione.

Peraltro questo meccanismo lascia aperte anche altre criticità che rischiano di creare non pochi grattacapi ai datori di lavoro: appunto, la norma da un lato dispone la proroga automatica dei contratti a termine e in somministrazione ma non dispone, per le casistiche in esame, alcuna deroga specifica al quadro regolatorio generale.

Pensiamo, ad esempio, a un rapporto a termine che, per effetto della proroga “automatica”, sfori la durata massima di 24 mesi: potrà essere prorogato senza incorrere in problemi? Lo stesso discorso vale sui contratti per i quali sono già state operate quattro proroghe: è possibile effettuarne una quinta senza che il lavoratore possa poi vantare la conversione del rapporto a tempo indeterminato? Le risposte dovrebbero essere positive ma la norma non lo esplicita.

Dubbi che si aggiungono a un quadro sui rapporti a termine e somministrati reso già impervio dalle altre regole introdotte ad hoc per la gestione dell’emergenza sanitaria. Il legislatore ha previsto infatti altre due discipline “speciali”: la prima è quella contenuta nel decreto cura-Italia che stabilisce la deroga al divieto generale di proroga e rinnovo in costanza degli ammortizzatori sociali attivati a fronte del Covid-19.

La seconda, prevista dal Dl 34/2020 (articolo 93, comma 1) dispone, invece, la disapplicazione dell’obbligo di indicare la causale per i contratti a termine-somministrati in corso al 23 febbraio scorso, purché il contratto scada entro il 30 agosto.

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