Contrattazione

Appalto o somministrazione illeciti, doppio licenziamento per cautelarsi

di Giampiero Falasca

Licenziamenti più difficili in caso di somministrazione irregolare di manodopera e di appalto o distacco illecito.

Questo l’effetto della norma di interpretazione autentica contenuta nell’articolo 80 bis della legge di conversione del Dl rilancio (legge 77/2020), con la quale il legislatore ha imposto una lettura più rigorosa, rispetto a quella sinora seguita dalla giurisprudenza, dell’articolo 38, comma 3, del Dlgs 81/2015.

Quest’ultima norma prevede che, in caso di somministrazione irregolare (nozione in cui rientrano i casi di somministrazione effettuata senza il rispetto di limiti e condizioni fissati dalla legge, ma anche le ipotesi di appalto e distacco illecito) tutti gli atti compiuti dal somministratore (il datore di lavoro apparente) nella costituzione o nella gestione del rapporto di lavoro si intendono come compiuti o ricevuti dal soggetto che ha effettivamente utilizzato la prestazione.

Secondo la norma appena approvata in sede di conversione del Dl rilancio, tale disposizione si interpreta nel senso che, tra gli atti di costituzione e di gestione del rapporto di lavoro, non è compreso il licenziamento.

Per capirne la portata può essere utile fare un esempio. Un soggetto (appaltatore) fornisce personale a un altro soggetto (committente) nell’ambito di un appalto di servizi.

A un certo punto l’appaltatore (il datore di lavoro formale) licenzia uno o più dipendenti coinvolti nel servizio, ma questi impugnano il contratto di appalto sottoscritto tra le parti, ritenendo che il vero datore di lavoro dovesse essere considerato il committente.

In caso di esito positivo della controversia, il lavoratore viene riconosciuto come dipendente del committente. A seguito di questo cambiamento del rapporto, si tratta di capire se il licenziamento intimato da quello che ha perso la qualifica di datore di lavoro può essere opposto al dipendente da parte del nuovo datore.

Con la norma interpretativa appena approvata, la risposta è negativa: il nuovo datore non può far valere a proprio favore il licenziamento intimato dall’appaltatore e pertanto per interrompere il rapporto deve adottare un nuovo provvedimento.

Questa norma interpretativa di fatto modifica l’indirizzo seguito dalla Corte di cassazione che, in una pronuncia di qualche anno fa, resa rispetto a norma identica a quella del Dlgs 81/2015 (cioè l’articolo 29 del Dlgs 276/2003) aveva dato una lettura opposta, ritenendo opponibile al dipendente da parte del datore di lavoro effettivo il licenziamento intimato dal datore di lavoro apparente (sentenza 17969/2016).

Per evitare le incertezze derivanti da questa nuova interpretazione, qualora sussistesse un dubbia circa la legittimità della somministrazione, dell’appalto o del distacco, l’impresa che utilizza il lavoratore dovrebbe procedere a un autonomo atto di risoluzione del rapporto, prima ancora di essere riconosciuta come formale datore di lavoro.

Si tratterebbe però di un atto molto particolare, in quanto dovrebbe essere sottoposto a una condizione sospensiva (riconoscimento del rapporto di subordinazione), che produrrebbe effetti solo al suo avveramento.

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