Contrattazione

Federlegno, per il contratto partenza dal patto di fabbrica

di Cristina Casadei

Il rinnovo del contratto dell’industria del legno arredo sta facendo i conti con un convitato di pietra. E con il Patto della fabbrica che per le imprese costituisce la cornice in cui la trattativa, oggi ferma, deve muoversi. Lo sciopero di 16 ore e lo stop alle flessibilità, proclamati dai sindacati (Fillea Cgil, Filca Cisl e Feneal Uil) sono risposte durissime in un momento che richiede alle aziende sforzi organizzativi eccezionali. Bloccare l’assunzione di contratti a termine o interinali, o gli straordinari, quando bisogna rispettare tempistiche imposte dalla committenza, significa mettere a rischio le commesse, come è accaduto. Ne parliamo con Giacomo Ghirlandetti, direttore delle relazioni industriali di FederlegnoArredo, che analizza le dinamiche negoziali con l’esperienza di chi segue il rinnovo di questo contratto dal 1994. La storia può essere raccontata da molti punti di vista ma non si può trascurare che ci sono dei punti fermi. Cominciamo dalla tempistica. «I sindacati hanno presentato la piattaforma con 6 mesi di ritardo - osserva Ghirlandetti -. Questo dava diritto alle imprese di congelare il contratto. Prima di aprile le trattative non sono potute cominciare. È quindi il momento di smettere di dire che è colpa delle imprese se le trattative sono così lunghe».

Diversamente dal passato, nel corso della trattativa, che riguarda un contratto scaduto da ormai 17 mesi, come rilevano i sindacati, il contesto è drammaticamente cambiato. Tra le note positive c’è il fatto di avere aperto un ragionamento proficuo sul lavoro a distanza, distinguendo «tra smart working e telelavoro. Nello smart working abbiamo stabilito che il dipendente lavora su progetti e obiettivi, non è in sede e non risponde dell’orario, mentre per il telelavoro il dipendente non lavora in sede ma risponde dell’orario per la tipologia di lavoro che fa», spiega Ghirlandetti. Tornando al contesto della trattativa la premessa è che «non abbiamo alcun dato per dire che cosa succederà post Covid, perché i licenziamenti sono bloccati – dice Ghirlandetti -. Non sappiamo come andrà a finire, ma siamo convinti che molte imprese, soprattutto quelle più piccole, come anche le medie, stanno raschiando il fondo del barile. Tutto il mercato nazionale e internazionale si è fermato».

Negli ultimi mesi gli incontri tra le parti si sono svolti in videoconferenza, cosa che non agevola la trattativa, soprattutto con delegazioni sindacali che arrivano a 90 componenti. Per farla avanzare, secondo le imprese, bisognerebbe abbandonare «un approccio da anni ’70 o addirittura anni ’60 quando bastava aprire la mano e arrivavano gli ordini. Oggi non è più così. Ci troviamo di fronte a una piattaforma che contiene una tale molteplicità di richieste da far pensare che le sigle non hanno trovato una sintesi e hanno quindi inserito tutte le richieste. Questo è un elemento di forte complicazione», osserva Ghirlandetti. Il risultato è che le richieste dei sindacati sforano la sostenibilità dei budget sia sul Tem che sul Tec e il negoziato è bloccato.

Entriamo nel merito cominciando dalle parti normative. Dato l’elevato numero di lavorazioni stagionali, dalle segherie alle tende e pergole, passando per le fiere, il legno arredo ha sempre avuto bisogno di molta flessibilità. Le imprese fanno notare che abbiamo un Decreto dignità che ha già duramente imposto limitazioni sulla durata e il numero dei contratti a tempo determinato e in somministrazione a tempo determinato. «Non è possibile appesantire ancora di più il quadro con la richiesta di riduzione delle percentuali – dice Ghirlandetti -. Alla contrattazione collettiva viene data la facoltà di derogare rispetto alla durata. Ebbene il Decreto dignità consente di arrivare a un massimo del 50% nel mix dei tre istituti. Noi siamo disposti a scendere al 45%, con la possibilità, però, di arrivare a una quota del 35% tra somministrato determinato e tempo determinato. E con la possibilità, per le imprese, di scegliere come arrivare a questo 35% con i due istituti». A questo si aggiunga che «i sindacati chiedono l’obbligo di accordo con le Rsu per modificare o istituire i turni, ma un conto è la condivisione, un altro la codecisione. Da notare che questo obbligo è previsto nel caso dell’orario multiperiodale».

Siamo così arrivati alla parte economica dove bisogna far rientrare nei conti del budget del rinnovo molti istituti del welfare che incidono per diverse decine di milioni di euro all’anno e andrebbero a costituire il trattamento economico complessivo. E poi l’aumento in senso stretto che finirebbe sui minimi. Il contratto ha un Osservatorio che si chiama Obl, (Osservatorio bilaterale del legno) che ha, tra le tematiche di competenza, il mercato del lavoro, la salute e sicurezza, l’innovazione e la formazione. Ebbene «premesso che l’Obl non riunisce il cda da 8 anni - fa notare Ghirlandetti - e non ha nessuna struttura, la piattaforma prevede di assegnare all’ente innumerevoli nuovi compiti. Riteniamo che non si possa, come invece richiesto, prevedere un obbligo di 12 ore di formazione a qualunque dipendente del settore, perché la formazione si fa dove è necessario». Parlando di welfare il settore ha un fondo di previdenza complementare, il fondo Arco, e uno di assistenza sanitaria integrativa, il fondo Altea. «Le aziende sono disposte a un aumento dello 0,10% per il 2021 e per il 2022 su Arco – dice Ghirlandetti -. Ma i sindacati ci chiedono 500 euro a fondo perduto per 3 anni per tutti gli iscritti over 50 e lo 0,30% per tutti gli iscritti del settore che comporta un esborso enorme che non serve a nulla. Noi oggi abbiamo una contribuzione aziendale del 2,1%, una delle più alte. Quando il fondo è partito, noi come Imprese e come Federazione, ci abbiamo creduto, ma dobbiamo constatare che gli iscritti non crescono». C’è poi il fondo sanitario Altea, gestito solo dai sindacati: in questo caso la richiesta dei sindacati è di prevedere l’iscrizione obbligatoria per tutti. Tirando la linea, «solo il welfare costerebbe al settore 32 milioni di euro all’anno», calcola Ghirlandetti. E l’aumento economico? «Abbiamo fatto due proposte. La prima prevede il contributo dello 0,20% complessivo per Arco, l’elemento di garanzia che passa da 18 a 25 euro al mese al livello più basso, 18 euro in luglio e 5 in ottobre, oltre a una rivalutazione delle retribuzioni col metodo ex post. Quindi a gennaio 2021 rivalutiamo le retribuzioni sulla base dell’Ipca dell’anno precedente e poi nel 2022 lo stesso. La seconda proposta prevede lo 0,20% per Arco, sempre l’elemento di garanzia, le due rivalutazioni ex post, mentre per i 18 e i 5 euro, ci sarebbe una piccola dilazione, ma aumenterebbero, diventando 20 a gennaio del 2021 e 20 a gennaio del 2022. I sindacati però insistono su un aumento economico di 60 euro, oltre al welfare». In conclusione le imprese il contratto vogliono chiuderlo, ma «è chiaro che una ripresa della trattativa deve passare dalla disdetta di blocco straordinari, flessibilità e sciopero – afferma Ghirlandetti -. E dalla fine delle ingerenze esterne. Il dubbio è che ci sia un convitato di pietra che ha la volontà politica di non rinnovare il contratto per poter poi affermare che la colpa e la mancata volontà è di Confindustria e del suo Presidente».

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