Contrattazione

Indagine dei consulenti del lavoro: nelle Pmi a rischio un milione di posti

di Mauro Pizzin

Tra il 2020 e il 2021 il sistema delle Pmi italiane potrebbe perdere circa un milione di posti di lavoro per effetto del perdurare della crisi e dell’inevitabile sblocco dei licenziamenti, colpendo particolarmente i dipendenti delle piccole imprese.

A dirlo è un’indagine della Fondazione studi dei consulenti del lavoro, intitolata “Crisi, emergenza sanitaria e lavoro nelle Pmi” che sarà presentata oggi nel corso dell’undicesima edizione del Festival del Lavoro, stavolta interamente on-line. L’evento, in programma dalle ore 10 alle ore 13, potrà essere seguito anche sul sito internet del Sole 24 Ore e vedrà la presenza, tra gli ospiti, del ministro del Lavoro, Nunzia Catalfo, del Mise, Stefano Patuanelli, e degli Affari regionali, Francesco Boccia.

Alcuni dati della ricerca della Fondazione studi, realizzata sulla base delle risposte fornite da 5mila dei 26mila professionisti iscritti all’Ordine dei consulenti del lavoro raccolte tra fine settembre e metà ottobre, sono stati anticipati nell’ambito del pre-festival che si è tenuto ieri pomeriggio e fotografano un futuro a dir poco complesso del mondo del lavoro, piegato da un’emergenza Covid-19 che ha enfatizzato in chiave negativa anche problemi strutturali mai risolti, fra cui un sistema di ammortizzatori sociali da rivedere in un’ottica di semplificazione e di politiche attive mai decollate del tutto.

In questo contesto, analizzando il contenuto del dossier, neppure troppo paradossalmente la preoccupazione maggiore espressa dai consulenti del lavoro non è tanto quella di dover gestire l’emergenza sanitaria - ritenendo il 59% degli intervistati che le aziende siano ad oggi attrezzate a gestire il personale in caso di contagi - ma piuttosto quella di doversi trovare nuovamente alle prese con le procedure per la cassa integrazione (indicata come principale criticità da affrontare nelle prossime settimane dal 62,8% dei professionisti), di confrontarsi con l’avvio delle ristrutturazioni (42,8%), con l’inevitabile riduzione dei livelli di produttività (42,2%), con la gestione delle esigenze del personale, alle prese con conciliazione e quarantene, nonchè con la sua riorganizzazione.

Sul fronte della gestione del personale, in particolare, secondo i professionisti a poco servirà il ricorso allo smart working, visto che per la maggioranza dei consulenti del lavoro (56,9 %) le imprese faranno di tutto per tenere i membri dell’organico in sede (8 su 10 sono già tornati a fine settembre), soprattutto a causa della tipologia di attività svolta (46,9%), ma anche per la consapevolezza che l’azienda non è attrezzata per il lavoro agile (26,6%) o per la necessità di controllare meglio i dipendenti (22,4%). Una modalità lavorativa, quella in smart, che per Mario Mantovani, vicepresidente di Manageritalia collegato al pre festival - «resta comunque in grado di svolgere un ruolo fondamentale, ma non seguendo l’impostazione degli anni passati. Servirebbe invece eliminare i riferimenti generalizzati al luogo e orario di lavoro e trasformare queste variabili a livello di contrattazione aziendale. Così come vanno eliminati i riferimenti settoriali». Un’analisi condivisa anche dal presidente di Confalavoro Roberto Capobianco, secondo cui anche per il lavoro agile «bisogna costruire modelli di contrattazione aziendale che siano veramente di prossimità».

Quello che dovrà essere affrontato, insomma, sarà un percorso tutto in salita e che richiederà tempi lunghi per poter parlare di recupero. Basti pensare che per il 38,6% dei professionisti intervistati i fatturati delle imprese torneranno ai livelli pre-covid non prima di due anni, nel 2022, mentre il 35,7% guarda come tempo di ripresa addirittura al biennio 2023-2024.

«Ciò che l’indagine evidenzia - sottolinea il presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei consulenti del lavoro, Marina Calderone - è uno scenario di grande incertezza: ci saranno più chiusure e aumenterà il senso di insicurezza che già pervade il mondo del lavoro. Veniamo, del resto, da mesi difficili non solo per le imprese ma anche per gli autonomi, che nei primi sei mesi dell’anno sono diminuiti di 26mila unità, fra cui molti appartenenti alle professioni intellettuali, che hanno un ruolo strategico. Aumentano infine anche i giovani che non lavorano, gli inattivi, scoraggiati da una crisi che ritengono irreversibile, e le donne in difficoltà. Se questo è lo scenario - evidenzia ancora Calderone - bisogna far funzionare finalmente il riaccompagnamento al lavoro, ferma restando la costante condizione di difficoltà di dialogo tra sistema pubblico e privato».

L'indagine della Fondazione studi dei consulenti del lavoro

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