Contrattazione

Aziende, l’emergenza sanitaria non ferma premi e welfare: + 23% tra marzo e ottobre

di Giorgio Pogliotti e Claudio Tucci

Il lock down e l’emergenza sanitaria non fermano la contrattazione di secondo di livello, che da marzo a ottobre registra un balzo in avanti. A inizio pandemia, ovvero a marzo, il ministero del Lavoro registrava 11.061 dichiarazioni attive relative a premi di produttività e welfare; a metà ottobre si è saliti a 13.630 (+23,2%). Le erogazioni monetarie o in beni e servizi interessano oggi più 3,2 milioni di lavoratori, con un valore medio annuo del premio pari a 1.330 euro.

Si tratta, dunque, di un ampliamento della diffusione importante, soprattutto se si considera il particolare momento di emergenza che sta interessando tutto il mondo produttivo. Questo aumento, come spiega lo studio De Fusco & Partners, è dovuto ai molti contratti precedenti per cui sono stati modificati gli obiettivi (produttività, qualità, redditività, etc), riaddattandoli alle nuove condizioni che la pandemia ha prodotto nelle aziende per cercare di non perdere premi e welfare incentivati.

Tuttavia non bisogna dimenticare che è ancora assai limitata la diffusione della contrattazione di prossimità che prevede l’erogazione di somme variabili: interessa il 21% circa delle imprese italiane. Con grandi squilibri a livello territoriale, settoriale e di dimensione delle imprese. Dei 13.630 contratti ancora attivi registrati sul portale del ministero del Lavoro, infatti, il 78% si riferisce ad aziende con sede legale al Nord, il 15% al Centro, il restante 7% al Sud. Nella distribuzione per settore, il 54% riguarda i servizi, il 45% l’industria e l’1% l’agricoltura. Quanto alla dimensione aziendale, il 53% riguarda imprese sotto i 50 dipendenti il 33% con numero di dipendenti maggiore o uguale a 100, il 14% tra 50 e 99 dipendenti. Tra le piccole e piccolissime i premi di produttività sono ancora poco diffusi. Quanto alla tipologia, sono 10.532 i contratti aziendali e 3.098 quelli territoriali. Tra i lavoratori, oltre 2,8 milioni sono beneficiari di premi di risultato frutto di contratti aziendali e quasi 410mila di contratti territoriali; nel primo caso il valore annuo del premio in media risulta di 1.558 euro, nel secondo caso di 583 euro.

Guardando poi all’ultima indagine del centro studi di Confindustria sul lavoro, si evince come più di un’impresa su 5 applichi contratti aziendali che prevedono l’erogazione di premi variabili collettivi. La quota sale al 29% nell’industria e al 13,7% nei servizi. Tra le aziende associate a Confindustria, 3 su 5 mettono a disposizione dei propri dipendenti non dirigenti almeno un servizio di welfare. La forma più diffusa è l’assistenza sanitaria integrativa (45,9%), seguita dalla previdenza complementare (28,7%). Più bassa la diffusione di carrello della spesa (9,8%) e contributi per l’assistenza a familiari anziani o non autosufficienti (3,8%), ma entrambe le voci sono stimate in forte crescita dal 2017.

A spingere lo strumento c’è la normativa fiscale di vantaggio: sui premi di risultato scatta una cedolare secca del 10% su importi fino a 3mila euro per i dipendenti fino a 80mila euro di reddito. Inoltre, in caso di coinvolgimento paritetico del lavoratore nell’organizzazione del lavoro, scatta la decontribuzione: il datore di lavoro beneficia di uno sgravio contributivo del 20% per la quota del premio di risultato entro il limite di 800 euro, e su tale importo il lavoratore non versa i contributi a proprio carico. Il premio può essere convertito in prestazioni di welfare esentasse, sia dal punto di vista contributivo che fiscale (in base all’articolo 51 del Tuir), se previsto da accordi collettivi.

Con il decreto Agosto è stato poi raddoppiato da 258,23 a 516,46 euro, per l’anno d’imposta 2020, il limite di esenzione del welfare contrattuale. Nella legge di Bilancio questo incentivo potrebbe essere confermato per essere a disposizione anche dell’attuale tornata di rinnovi contrattuali che interessano una decina di milioni di lavoratori. Sempre in manovra potrebbe entrare una norma per esplicitare il collegamento dei premi di produttività allo smart working.

Il punto è che per far decollare la contrattazione decentrata, dove si valorizza lo scambio salario-produttività, servono incentivi e misure strutturali. Nel 2016 Confindustria e sindacati hanno sottoscritto un accordo per spingere i premi di risultato anche nelle Pmi. Dopo questa intesa la contrattazione territoriale è sempre cresciuta. Anche durante il lock down: a marzo i contratti territoriali erano 2.696, a ottobre solo saliti a 3.098.

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