Contrattazione

Giovani, donne e autonomi i più penalizzati dal Covid

di Davide Colombo e Giorgio Pogliotti

L’emergenza coronavirus ha amplificato le disuguaglianze già esistenti, accentuando il solco tra chi è più o meno protetto. Basti pensare ai percettori del Reddito di cittadinanza, cresciuti del 30% in pochi mesi, mentre le famiglie consumatrici a causa dei vincoli alla mobilità e l’incertezza sul futuro hanno accumulato liquidità sui depositi bancari come mai prima (il rapporto tra risparmio e reddito disponibile lordo ha raggiunto nel secondo trimestre il 18,6%, un livello più che doppio rispetto a quanto osservato nella media del 2019).

È cresciuto il dualismo del mercato del lavoro, la divisione anzitutto tra lavoratori con contratti permanenti e temporanei: i primi protetti dal blocco dei licenziamenti che però ha anche ostacolato i processi di ristrutturazione aziendale, e quindi il turn over. A pagarne le conseguenze sono stati soprattutto i giovani, visto che buona parte è entrata nel mercato del lavoro per la porta d’ingresso dei contratti temporanei, che hanno subìto un tracollo. Penalizzate anche le donne, spesso impegnate nel settore dei servizi che più ha risentito gli effetti del lockdown, e dal doversi far carico dei servizi di cura dei propri cari in assenza di un welfare familiare. Si è poi accentuata la divergenza tra lavoratori pubblici e privati; i primi hanno potuto proseguire a lavorare da remoto senza penalizzazioni economiche, mentre nel privato l’ampio ricorso alla Cig si è tradotto in una perdita mensile compresa tra 461 e 694 euro, in base al tetto di reddito, secondo un report di “Lavoro&Welfare” di Cesare Damiano. Si è accentuato il divario tra lavoro dipendente e autonomo. «Siamo consapevoli che si stanno creando nuove diseguaglianze - ha detto il premier Giuseppe Conte-. Ci sono categorie che godono di una maggiore protezione, che riescono anche ad accumulare maggior risparmio rispetto al passato, pensiamo ai pubblici impiegati in smart working, mentre altre categorie sono in forte sofferenza: partite Iva, professionisti, piccoli imprenditori che oltre alla perdita di fatturato devono sostenere costi fissi difficilmente comprimibili».

Giovani, donne, precari rappresentano la gran parte della platea di 330mila occupati che secondo l’Istat mancano all’appello per tornare ai livelli di febbraio, sono loro a comporre la crescita di 40mila disoccupati e di 220mila inattivi esclusi dal mercato del lavoro perché scoraggiati. «A fronte di un blocco dei licenziamenti prolungato - spiega Francesco Seghezzi, presidente della Fondazione Adapt - le imprese hanno ridotto i costi in conseguenza della pandemia intervenendo laddove potevano intervenire senza incorrere in sanzioni o contenziosi: sul lavoro temporaneo, e quindi in buona parte sui giovani. Non hanno avuto bisogno di licenziamenti, è bastato attendere la fine del contratto per non rinnovarlo, complici anche le maglie strette introdotte dal decreto Dignità, allentate dopo il lockdown». Le chiusure scattate dal 25 marzo al 3 maggio hanno riguardato 2,2 milioni di imprese e uno dei settori più colpiti è stato il turismo. In questo comparto, che ha contribuito per quasi un quinto alla crescita occupazionale negli ultimi sette anni, è elevata l’incidenza di personale con contratti a tempo determinato (38,3%, circa 500mila lavoratori), spesso stagionali e di brevissima durata; questa categoria potrebbe avere difficoltà a trovare impiego in altri settori.

Ma l’emergenza Covid ha anche messo alla luce la diversità di trattamento tra lavoratori privati e pubblici, nonostante il processo di “privatizzazione” delle Pa in atto da un trentennio. «Mentre nel privato, alla prima esperienza di distanziamento, le imprese hanno dato fondo alle riserve di ferie e permessi dei dipendenti – sostiene Sandro Mainardi, ordinario di diritto del Lavoro all’Alma Mater Università di Bologna –, nel pubblico le norme si sono immediatamente premurate di rendere strutturali le deroghe alla disciplina dello smart working, definendo la flessibilità contrattuale quale “modalità ordinaria” di svolgimento della prestazione lavorativa nelle Pa. Sono stati fissati obiettivi di raggiungimento di quote sempre più ampie di lavoratori pubblici impiegati al proprio domicilio, su questo misurando la performance dei dirigenti, mentre nel privato le deroghe alla legge 81 per diffondere lo smart working pandemico hanno interessato solo alcune categorie di lavoratori esposti per genitorialità o fragilità».

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