Contrattazione

Danno presunto anche nella Pa in caso di nullità dei contratti di somministrazione

di Angelo Zambelli

Con la sentenza 446/2021 del 13 gennaio la Cassazione fa luce sulle conseguenze risarcitorie della accertata nullità di una serie di contratti di somministrazione a termine nel pubblico impiego.

Nel caso sottoposto al vaglio della Corte di legittimità, un lavoratore aveva prestato la propria attività in favore di un’azienda sanitaria pubblica (utilizzatrice) in forza di cinque successivi contratti di somministrazione a termine stipulati con un’agenzia per il lavoro. Successivamente alla cessazione di tali rapporti, il lavoratore ricorreva al Tribunale di Aosta chiedendo, oltre all’accertamento dell’illegittimità dei contratti di somministrazione a termine per genericità delle rispettive causali, la costituzione di un rapporto a tempo indeterminato con l’utilizzatrice e il risarcimento del danno. Il Tribunale valdostano dichiarava illegittimi i cinque contratti e condannava l’utilizzatrice al risarcimento del danno, respingendo tuttavia l’ulteriore domanda di costituzione del rapporto con la Pa utilizzatrice.

La Corte d’appello torinese successivamente adita, pur confermando l’illegittimità dei contratti di somministrazione, riformava tuttavia la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva condannato la Pa al risarcimento del danno, in quanto il lavoratore non aveva né allegato, né provato tale danno.

Il lavoratore si rivolgeva quindi alla Suprema corte formulando le medesime domande di costituzione del rapporto con la Pa utilizzatrice e di risarcimento del danno da parte della medesima. A tale ultimo riguardo il lavoratore si doleva, infatti, che la decisione della Corte d’appello, ponendo a carico del medesimo la prova del danno subito, gli avrebbe nei fatti impedito l’esercizio del proprio diritto.

Ferma l’accertata nullità dei contratti di somministrazione a termine, la Suprema corte escludeva la possibilità di costituzione di un rapporto di lavoro subordinato direttamente in capo all’utilizzatrice in virtù del combinato disposto dell’articolo 97 della Costituzione - che stabilisce l’accessibilità alle cariche pubbliche unicamente per concorso – e dell’articolo 36 del Dlgs 165/2001, il quale, in applicazione di tale principio costituzionale, esclude espressamente la possibilità di costituire rapporti a tempo indeterminato con la Pa in ipotesi di violazione di norme imperative che regolano assunzione e/o impiego di lavoratori (a differenza del settore privato, le cui disposizioni regolatrici prevedono, tra le conseguenze dell’accertata illegittimità dei contratti di somministrazione, la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato in capo all’utilizzatore).

La Corte di legittimità accoglieva invece la richiesta di risarcimento del danno, non condividendo la necessità, ritenuta imprescindibile dalla Corte d’appello, che il lavoratore fornisse prova del danno subito. Con un ragionamento decisamente articolato, la Suprema corte sottolineava, infatti, l’analogia esistente tra la situazione soggettiva alla base della disciplina prevista in caso di illegittimità dei contratti a termine e di illegittimità dei contratti di somministrazione a termine. Infatti, spiegava la Corte, in caso di illegittimità del contratto di somministrazione il legislatore nel settore privato ha stabilito la conversione del rapporto a termine con il somministratore in un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con l’utilizzatore, a valle di un duplice passaggio: la sostituzione soggettiva tra somministratore e utilizzatore e la conversione del rapporto tra lavoratore e utilizzatore a tempo indeterminato per carenza dei requisiti per l’apposizione del termine, cui si aggiungeva il risarcimento del danno.

Esclusa, come visto, nel pubblico impiego la possibilità di conversione del rapporto, la Suprema corte ha in ogni caso più volte stabilito che, anche in questo settore, in caso di rapporto a termine illegittimo sia applicabile la disciplina prevista per il settore privato (all’epoca l’articolo 32, comma 5, della legge 183/2010), che riconosce il risarcimento del danno (presunto, in quanto viene ricollegata una valenza risarcitoria quale “danno comunitario” e per il quale quindi non è richiesta prova) commisurato a un’indennità tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto (così sezioni unite 5072/2016 e Cassazione 992/2019). Valga notare, per dovere di cronaca, come la norma sopra citata sia stata nel frattempo sostituita dall’analoga previsione contenuta nell’articolo 28 del Dlgs 81/2015).

La sentenza n. 446/2021 della Corte di cassazione

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