Contrattazione

Senza contratto subordinato ci sono le tutele del Dl riders

di Giampiero Falasca

La grande incertezza regolatoria che accompagna il fenomeno delle piattaforme digitali si riflette anche sulla concreta gestione dei rapporti di lavoro sottostanti: proliferano modelli diversi, senza che nessuno possa affermare con certezza quale sia quello più appropriato. Sono usati praticamente tutti gli schemi contrattuali esistenti, proprio perché non si è ancora affermato un modello dominante.

L’uso della co.co.co.

Sicuramente è molto utilizzato il contratto di collaborazione coordinata e continuativa, una forma contrattuale che prima del famoso “contenzioso Foodora” garantiva un margine di flessibilità molto ampio. Margine che oggi risulta estremamente ridotto e quasi azzerato, dopo che la Cassazione ha di fatto equiparato questo contratto allo schema del lavoro subordinato.

L’uso del lavoro autonomo

Meno utilizzata è la forma di lavoro autonomo, che richiede un impianto organizzativo molto particolare per risultare compatibile con la struttura e con i vincoli della piattaforma digitale, e che deve rispettare i parametri del cosiddetto decreto riders del 2019 (Dl 101/2019, convertito dalla legge 128/2019).

Il lavoro subordinato

È ancora poco usato, sebbene cominci a emergere anche una tendenza in tale direzione, il lavoro subordinato classico: una forma contrattuale identificata da alcune sentenze come quella più adeguata alla struttura del lavoro tramite piattaforma, che presenta tuttavia diversi aspetti, regole e procedure ancora poco adatti alle nuove forme di lavoro.

Le tutele del “decreto riders”

Una situazione di questo tipo genera un costo gestionale aggiuntivo per le imprese - chiamate a doversi barcamenare tra la necessità di sostenere la concorrenza con gli altri operatori e l’esigenza inderogabile di applicare in modo corretto le regole del lavoro - e rende particolarmente complessa anche la tutela dei propri diritti da parte dei lavoratori. Tutela che non passa sempre e soltanto per l’azione giudiziaria, che pure resta la strada principale da seguire per chiunque voglia rivendicare la corretta qualificazione del rapporto di lavoro.

Una strada alternativa o antecedente a quella del processo è sicuramente quella del ricorso ai servizi ispettivi e di vigilanza, per i tutti i casi di mancato rispetto delle norme sul lavoro.

Gli istituti che possono essere oggetto di rivendicazione da parte di un lavoratore digitale sono numerosi, e derivano da fonti differenti.

Per tutti i collaboratori delle piattaforme digitali che lavorano senza un contratto di lavoro subordinato, è doveroso rispettare gli standard previsti dal “decreto riders”. Pertanto, ciascuna piattaforma dovrà garantire una retribuzione non inferiore a quella prevista da accordi collettivi appositamente stipulati (nel campo dei riders,al momento esiste solo l’accordo siglato nell’ottobre scorso da Assodelivery e Ugl, la cui validità è contestata dal ministero del Lavoro e dalle altre sigle sindacali). In mancanza, la piattaforma dovrà applicare gli standard minimi previsti da un Ccnl esistente (secondo quanto concordato tra le sigle tradizionali, il Ccnl di riferimento è quello della logistica).

I soggetti che non rientrano nella casistica appena elencata possono, invece, avanzare richieste più ampie, potendo invocare tutte le tutele tipiche del lavoro subordinato, dai regimi di orario sino alla disciplina delle condizioni di lavoro.

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