Contrattazione

Cliente senza mascherina? Il commesso può rifiutarsi di servirlo (e non è licenziabile)

di Marisa Marraffino

Non può essere licenziato il commesso che rifiuta di far pagare il cliente che non indossa la mascherina. Lo ha stabilito il Tribunale di Arezzo con la sentenza 9 pubblicata il 13 gennaio scorso (giudice Rispoli). Il giudice ha infatti respinto il ricorso di un’azienda che aveva impugnato l’ordinanza di reintegro del lavoratore disposta in via cautelare.

Il caso nasce dalla reazione esasperata del dipendente di un punto vendita della provincia di Arezzo, che durante il turno notturno aveva riferito a un cliente che se non avesse indossato la mascherina non avrebbe concluso la transazione in cassa.

L’avventore, infatti, era entrato senza mascherina, né strumenti di protezione alternativi, per acquistare due pacchetti di sigarette. Da qui la richiesta del commesso di coprirsi la bocca almeno col collo della felpa. Ne era nata una discussione dai toni accesi durante la quale il cliente non solo si era rifiutato di coprirsi la bocca perché a - suo dire - «le mascherine le portano i malati», ma aveva anche offeso il commesso dandogli del ladro. Tornato a casa, poi, si era lamentato su Facebook della “scortesia” usata nei suoi confronti.

Da qui l’intervento del datore di lavoro che, anziché assumere le difese del dipendente, lo aveva accusato di danneggiare gravemente l’immagine dell’azienda, intimandogli il licenziamento per giusta causa.

Già in via cautelare il Tribunale aveva ritenuto illegittimo l’allontanamento del cassiere, ma è toccato al giudice dell’impugnazione entrare nel merito e ricordare all’azienda che è un diritto del lavoratore, costituzionalmente garantito, svolgere la propria prestazione in condizioni di sicurezza.

Addirittura - prosegue il giudice - «il dipendente avrebbe potuto anche astenersi dal lavoro poiché lo svolgimento della prestazione lo esponeva a un rischio di danno alla persona».

Il datore di lavoro, infatti, risponde della mancata osservanza delle norme a tutela dell’integrità fisica dei dipendenti perché titolare di una posizione di garanzia dettata in primo luogo dall’articolo 2087 del Codice civile, al quale in periodo di emergenza si è aggiunto il Dpcm del 26 aprile 2020 che ha prescritto a tutte le imprese di osservare il protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro sottoscritto dal Governo e dalle parti sociali.

Tra gli obblighi del datore di lavoro anche quelli di informare i lavoratori sui rischi e invitarli al rispetto di tutte le misure idonee per prevenire il contagio.

Il dipendente, si legge nella sentenza, anche in assenza di una specifica disposizione di legge, può invocare l’esimente dello stato di necessità per rifiutarsi di presentarsi al lavoro se non ci sono le condizioni per prestare la propria attività in sicurezza.

Sarebbe stato quindi onere del datore di lavoro assicurarsi che i clienti rispettassero le misure igienico-sanitarie prescritte dalle norme, incoraggiando i propri dipendenti a farle osservare anziché sanzionarli.

La reazione del dipendente - scrive il giudice - è del tutto giustificata dall’«esasperazione per una condotta altrui omissiva che denota un’ignorante sottovalutazione del fenomeno pandemico, accompagnata da frasi villane e sprezzanti della salute propria e degli altri, oltreché del cassiere», che deve essere reintegrato e risarcito per l’illegittimo licenziamento.

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