Contrattazione

I contratti collettivi non possono vietare il lavoro intermittente

di Giampiero Falasca

I contratti collettivi possono disciplinare i casi di utilizzo del lavoro intermittente, ma non sono autorizzati a vietare integralmente il ricorso a tale forma contrattuale: questa l’indicazione dell’Ispettorato nazionale del lavoro (circolare n. 1/2021, pubblicata ieri), che potrebbe avere un impatto molto rilevante su alcune norme collettive.

La circolare ricorda che la contrattazione collettiva ha un ruolo ben preciso rispetto al lavoro intermittente, codificato dall’articolo 13 del Dlgs n. 81/2015: individuare le esigenze che giustificano il ricorso a tale tipologia contrattuale.

Un potere di intervento che deve essere interpretato tenendo conto dei principi affermati dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 29423 del 13 novembre 2019.

Tale pronuncia ha messo in risalto il fatto che la legge si limita a demandare alla contrattazione collettiva la sola individuazione delle «esigenze» per le quali è consentita la stipula di un contratto a prestazioni discontinue; il rinvio alle parti sociali non si estende, invece, fino al riconoscimento di «..alcun potere di interdizione in ordine alla possibilità di utilizzo di tale tipologia contrattuale».

Una presa di posizione molto importante, che ha messo in discussione le regole di alcuni accordi collettivi i quali vietano l’utilizzo del lavoro intermittente, travalicando il compito demandato dal legislatore alle parti sociali.

La circolare invita gli ispettori del lavoro a dare corretta applicazione a tale sentenza, sollecitandoli a non tenere conto, nell’ambito dell’attività di vigilanza, di eventuali clausole dei contratti collettivi che dovessero vietare il ricorso al lavoro intermittente.

Di fronte a casi del genere gli ispettori del lavoro, secondo l’Istituto, dovrebbero limitarsi a verificare solo se l’utilizzo del lavoro intermittente risulta ammissibile, in quanto rientra nelle ipotesi cosiddette oggettive individuate nella tabella allegata al regio decreto n. 2657 del 1923 o, in alternativa, si può ricondurre alle ipotesi cosiddette soggettive (lavoratori con meno di 24 anni di età, purché le prestazioni lavorative siano svolte entro il venticinquesimo anno, e con più di 55 anni).

La circolare esamina il tema del lavoro intermittente nel settore dell’autotrasporto, tenendo conto del fatto che l’attuale contrattazione collettiva di settore non definisce le “esigenze” per le quali è consentita la stipula del contratto.

In mancanza di tale disciplina, l’Ispettorato ricorda che il lavoro intermittente è comunque ammesso per le attività indicate nella tabella allegata al regio decreto n. 2657 del 1923; al punto 8 rientra l’ipotesi del «personale addetto al trasporto di persone e di merci: personale addetto ai lavori di carico e scarico, esclusi quelli che a giudizio dell’ispettorato dell’industria e del lavoro non abbiano carattere di discontinuità».

Questa formulazione, secondo la circolare, sta a significare che la discontinuità è richiesta solo per le attività del personale addetto al carico e allo scarico; invece, l’utilizzo del lavoro intermittente per le attività di trasporto puro è ammessa anche in assenza di tale elemento.

La circolare n. 1/2021 dell'Ispettorato nazionale del lavoro

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