Contrattazione

Welfare aziendale al centro delle nuove relazioni industriali

di Francesco Rotondi

È cambiato il patto sul lavoro. Dal vecchio scambio lavoro-salario si fa strada in modo sempre più evidente uno nuovo basato su lavoro–benessere. E la componente benessere ricomprende non solo il salario, com’è ovvio, ma tutti quei nuovi bisogni dei dipendenti attinenti al concetto più ampio di benessere non solo materiale ma anche, forse soprattutto, immateriale come la qualità della vita più in generale, che coinvolge anche i propri familiari. Si pensi al tema centrale dei servizi alla persona, alla conciliazione dei tempi di vita-lavoro, ai flexible benefit, al welfare della famiglia e della sostenibilità. In tutti questi ambiti il welfare aziendale gioca un ruolo integrativo di straordinario valore che impatta in termini vantaggiosi anche sul costo del lavoro e nelle politiche di welfare dello Stato.

Alla base di questo cambio di paradigma l’impresa si pone come nuovo soggetto sociale nell’ambito del concetto più ampio di welfare community. Di conseguenza anche le relazioni industriali stanno cambiando pelle e la contrattazione tra le parti sociali, ai vari livelli, prevede sempre più spesso una componente di benessere sotto forma di welfare aziendale inteso in senso lato. Il welfare integrativo è nel Dna della contrattazione sindacale nazionale da alcuni decenni. Una proficua relazione sindacale che ha prodotto un sistema di welfare contrattuale basato sugli enti bilaterali focalizzati soprattutto, ma non solo, sui capitoli della salute e della previdenza.

Dalla contrattazione nazionale il welfare integrativo in questi ultimi anni ha trovato un nuovo terreno di sviluppo nella dimensione aziendale seguendo, per certi aspetti, anche la tendenza di lunga data in atto nei modelli di contrattazione, che vede un ruolo sempre più rilevante della dimensione decentrata. In questo contesto ha svolto un ruolo propulsore l’intervento legislativo del Governo Renzi che ha introdotto un’importante riforma della norma (ferma a fine anni Ottanta) che regola il nuovo welfare aziendale nelle leggi di Bilancio del 2016 e 2017. Una riforma che non ha solo ampliato il paniere dei servizi welfare, aggiornandolo e adeguandolo alle nuove esigenze, ma è intervenuta soprattutto incentivando tale strumento nell’alveo della contrattazione sindacale, prevedendo specifiche agevolazioni fiscali solo in questo ambito. Una scelta netta del legislatore che ha voluto, così, lanciare un segnale preciso: il welfare aziendale deve divenire uno strumento rilevante delle nuove relazioni industriali. Tant’è che a distanza di pochi anni la crescita della contrattazione della componente benessere è sotto gli occhi di tutti. Scelta che ha riposizionato il welfare aziendale da modello “paternalista”, in cui era assunto agli onori delle cronache in questi anni in virtù di scelte unilaterali da parte di alcune grandi aziende, a modello contrattualizzato.

L’impatto del welfare aziendale ha avuto conseguenze anche nella contrattazione nazionale e in modo specifico nel rinnovo del contratto dei metalmeccanici del 2017, che ha introdotto per la prima volta nel nostro sistema una quota obbligatoria di welfare aziendale. Istituto confermato anche nel recente rinnovo triennale 2021–2024, che ha ispirato anche i rinnovi contrattuali in altri settori produttivi. Il dado è tratto e la contrattazione del benessere nelle nuove relazioni industriali è sempre di più un capitolo fondamentale.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©