Contrattazione

Nove punti per rilanciare il duale. Il primo è l’intesa Stato-Regioni

di Cristina Casadei

Sono passati più di 5 anni dall’inizio della sperimentazione “Bobba” (dal nome dell’allora sottosegretario al ministero del Lavoro Luigi Bobba), che ha segnato l’entrata a regime del sistema duale in Italia. Adesso, il Piano nazionale di ripresa e resilienza definisce un orizzonte quinquennale per il rafforzamento del sistema duale e dell’apprendistato, prevedendo l’impiego di 600 milioni di euro, ossia 120 all’anno. A questi vanno sommate le risorse stanziate per via ordinaria dal Ministero del lavoro, pari a circa 125 milioni di euro all’anno, oltre alle ulteriori risorse per decontribuzioni per i centri di eccellenza, per i tutor aziendali, per il placement e a quelle messe in campo dalle Regioni, per lo più con l’utilizzo del Fondo sociale europeo.

Risorse e rilancio

«La dotazione complessiva a disposizione del sistema duale potrebbe quindi raddoppiare e conseguentemente anche il numero di giovani formati, con rilevanti ricadute sull’impatto occupazionale, dal momento che le percentuali di inserimento sono vicine alla totalità», osserva Daniele Marini, professore di Sociologia dei processi economici all’Università di Padova che ha curato il volume con cui Fondazione per la Scuola, con il sostegno della Fondazione Compagnia di San Paolo e in collaborazione con Forma, fa un bilancio dell’esperienza duale nell’Iefp, ossia l’istruzione e formazione professionale. Sarà pubblicato in autunno dalla casa editrice Il Mulino e contiene oltre 40 interviste a enti di formazione, che consentono di fare una valutazione e suggerire 9 punti per il rilancio di un sistema in cui il nostro paese si è fortemente ispirato alla Germania, pur rimanendone lontano nei numeri.

I 9 punti

Il presidente della Fondazione per la Scuola, Ludovico Albert, parla della necessità di «un nuovo accordo Stato, Regioni e Province autonome, con lo stesso spirito di costruzione comune che ha dato vita nel settembre 2015 all’accordo della sperimentazione “Bobba” e che ha dimostrato come sistema formativo e imprese possano e debbano operare insieme per poter innovare e crescere». Al primo punto viene così indicata la necessità di dare una dimensione effettivamente nazionale, con la presenza dell’offerta, secondo modalità e tempi programmati, in tutte le Regioni. Da qui l’esigenza dell’Accordo Stato-Regioni. Al secondo la personalizzazione dei percorsi con il superamento del gruppo classe, autonomia e flessibilità nella definizione degli insegnamenti. Al terzo la programmazione dell’offerta regionale, unitaria e complementare con quella scolastica, che abbia respiro almeno triennale e che sappia valorizzare le eccellenze. Questo vuol dire, spiega Marini, «creare un ecosistema formativo dove i diversi soggetti dialogano tra loro sulla base delle esigenze dei territori e delle imprese e scardinare un sistema di istruzione a canne d’organo. Andrebbe ridisegnato tutto ragionando in termini di filiera formativa, come se stessimo parlando di un treno unico e fossimo tutti agganciati a quel treno. In Italia c’è un’idea molto diffusa secondo cui la vera formazione è quella intellettuale. Ci sono però tanti giovani che dal punto di vista intellettuale classico sono meno attrezzati. Per loro poter scegliere un ente di formazione professionale, anziché andare a scuola ed essere bocciati o ritirarsi, significa garantirsi una via d’ingresso nel mercato del lavoro. Del resto all’asilo impariamo facendo e usando le mani, attivando parti del cervello che sono potenzialmente identiche a quelle della riflessività intellettuale. Questo i tedeschi lo hanno capito prima e meglio di noi».

La filiera

Il rilancio del sistema duale potrà avvenire solo se si accettano una serie di sfide. Gli altri 6 punti fondamentali sono quindi la previsione a livello curriculare dello sviluppo delle soft skills, l’inquadramento nel sistema duale dell’impresa formativa e delle Academy, un quadro metodologico unitario per il finanziamento dell’offerta di IeFP, la predisposizione di un’offerta formativa organica e completa della filiera professionalizzante, la semplificazione dello strumento dell’“apprendistato duale” per renderlo più appetibile sia ai giovani, sia alle Pmi e, infine, il potenziamento della rete degli operatori, soprattutto nelle Regioni in cui la loro presenza è oggi più carente e cioè al Sud. Se guardiamo al modello tedesco allora va detto, che «in Germania, da sempre, è possibile decidere di fare il proprio percorso scolastico lavorando, fino ad arrivare a laurearsi in questo modo - osserva Marini -. Il grande vantaggio è che l’impresa può vedere sul campo i ragazzi che nella stragrande maggioranza dei casi trovano occupazione nelle imprese dove vengono svolte le attività. In Italia tutto questo non è possibile, perché non si ragiona in termini di filiera formativa e quindi i percorsi sono slegati. Sarebbe però indispensabile che un ragazzo che frequenta un corso di formazione professionale possa accedere a un Its e poi dall’Its andare all’università, vedendosi riconosciuti i crediti. Non è così. La riconoscibilità e l’appetibilità della formazione professionale per i giovani e per le famiglie è legata alla possibilità di presentarsi come un percorso lineare, progressivo, unitario e completo».

Quadro a macchia di leopardo

La leopardizzazione dell’Istruzione e formazione professionale (di cui il duale rappresenta una quota pari al 21,8%) coincide con le disuguaglianze economiche proprie del nostro Paese ed è quindi concentrata soprattutto al centro nord. Gli ultimi dati disponibili, eleborati dall’Inapp, dicono che nell’anno formativo 2018-2019 gli iscritti alla IeFP duale sono stati complessivamente 31.459, il 21,8% del totale degli iscritti ai percorsi di IeFP. Anche grazie al crescente investimento delle Regioni si è assistito alla diffusione del modello duale in termini di allievi iscritti, passati dai 25.450 nell’anno formativo 2017-2018 a 31.459 nell’anno formativo 2018-2019, con un incremento del 23,6% rispetto all’anno precedente. E con un dato per il 2019-20 previsto ancora in crescita del 20,3%. La distribuzione territoriale? Evidenzia la concentrazione in alcune regioni, quali Lombardia, Toscana, Lazio, Piemonte, Emilia Romagna e Veneto.

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