Contrattazione

Mercato del lavoro, la riforma più efficace è una revisione delle politiche attive

di Luca Menichino


In queste ultime settimane sembra che sia tornato al centro dell’azione di governo il tema delle politiche attive in materia di lavoro che, pur essendo state oggetto di una riforma nel 2015, in realtà è rimasto sostanzialmente sulla carta. Ciò che è sempre mancato in Italia è un sistema di collocamento pubblico efficiente, che faciliti davvero l'incontro tra domanda e offerta di lavoro e protegga indirettamente i lavoratori sul mercato, concentrandosi non tanto sull'impedirne l’uscita, quanto sul favorire nuovi lavori.

Il dinamismo delle imprese e il loro continuo e costante riassetto organizzativo, con nuove assunzioni e situazioni di esubero, è un dato del tutto fisiologico di un sistema economico sano, per consentire un adattamento dell'impresa al mercato e alle sue mutevoli logiche. Un sistema di collocamento funzionale (che implica una efficace formazione anche per una utile riqualificazione) è infatti lo strumento più adatto e più realistico per favorire questo processo di continuo adattamento.

L’approccio della magistratura

La logica prevalente del passato, cui per lungo tempo si sono ispirati tanto il legislatore, quanto il sindacato e la magistratura, è stata improntata alla protezione del posto di lavoro e alla protezione del lavoratore in occasione del licenziamento, rendendo con ciò più rigido l'intero sistema di uscita dall'impresa (non erano infrequenti, in passato, casi di riconoscimento di diverse annualità di retribuzione a seguito di licenziamenti ritenuti non legittimi, o reintegrazioni disposte dopo anni, anche in realtà aziendali di dimensioni non particolarmente significative, con oneri per l'imprenditore non proporzionati e spesso del tutto insostenibili).

A partire dal 2012 e poi nel 2015 il legislatore ha cercato di riconfigurare il sistema di garanzie in uscita limitando anche la discrezionalità dei magistrati e ciò sul presupposto parallelo della realizzazione di un nuovo e più efficiente sistema di politiche attive (anche attraverso l'assegno di ricollocazione). Sistema che si è rivelato sino ad oggi inefficace. Proprio il fallimento di questa iniziativa e lo scarso interesse politico riguardo ad un aspetto centrale della vita e del destino dei lavoratori in uscita ha giustificato alcune resistenze, che si sono manifestate dapprima in una opposizione sindacale alla Riforma Fornero e al Jobs Act e poi in alcune dichiarazioni di incostituzionalità, distintesi anche per un certo disallineamento rispetto ad altri paesi europei e che nei fatti hanno ampiamente ridimensionato le riforme degli ultimi anni.

Meno resistenza al cambiamento

È proprio questo il punto. La resistenza alle innovazioni in materia di lavoro si spiega proprio in base alla debolezza del nostro sistema di politiche attive, che non protegge sufficientemente il lavoratore sul mercato nella fase di ricollocamento. Ecco perché oggi una riforma efficiente delle politiche attive costituisce lo snodo strategico fondamentale della politica del lavoro. Con un sistema di ricollocamento efficace, che dovrebbe nascere con l'interazione tra settore pubblico e privato per assicurare i migliori servizi ai lavoratori, anche le resistenze cui abbiamo assistito fino ad oggi dovrebbero venire meno.Tuttavia vi è un altro punto fondamentale.

La formazione pubblica oggi è meramente apparente e inutile, non serve a nessuno. Non basta richiedere la partecipazione ad un corso se la formazione è di modesta qualità, è di scarso interesse e non favorisce anche l’acquisizione di nuove competenze. In fase di riforma occorre indicare criteri precisi per assicurare una formazione di qualità, ma anche monitorare con attenzione i risultati attraverso un sistema che garantisca di adottare correttivi in modo rapido ed efficace, anche in relazione al sistema privato (può esserne esempio lo schema di monitoraggio della spesa del Pnrr contenuta nel decreto semplificazioni). Altrimenti si rischia di costruire un castello sulla sabbia.

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