Previdenza

I consulenti: formazione affidata allo Stato

di Mauro Pizzin

In attesa che veda la luce la seconda parte del Jobs Act renziano, destinato a intervenire anche in materia di politiche attive del lavoro, il tema è stato oggetto ieri di un'audizione in Commissione lavoro della Camera, durante la quale sono stati sentiti i rappresentanti del Consiglio nazionale dell'Ordine dei consulenti del lavoro.

I professionisti hanno formulato una serie di proposte – molte delle quali già esplicitate nel congresso di categoria, tenutosi lo scorso giugno a Fiuggi – utili ai fini dell'indagine conoscitiva sulla gestione dei servizi per il mercato del lavoro e sul ruolo degli operatori pubblici e privati.

Nel documento presentato dai consulenti è stato sottolineato come all'«enfasi del dibattito sulle regole del lavoro» non si sia affiancata in questi anni «una adeguata attenzione al tema degli strumenti per promuovere l'occupabilità delle persone disoccupate e favorire l'incontro tra domanda e offerta di lavoro». In quest'ottica, per i professionisti diventa impellente una riforma che passi attraverso l'introduzione di un sistema nazionale di riferimento (preso atto del fallimento dell'attuale modello decentrato regionale) e che valorizzi la collaborazione tra pubblico e privato. Le risorse sul tavolo per le politiche attive del lavoro, del resto, sono tradizionalmente limitate e in percentuale di uno a due rispetto a quelle messe in campo per le politiche passive: una ragione in più per metterle meglio a frutto.

La cartina al tornasole della difficoltà di operare in un sistema formativo così frammentato è dato dal nuovo strumento della "Garanzia Giovani". «Si tratta in effetti di un progetto europeo molto interessante – sottolinea Vicenzo Silvestri, vicepresidente del Consiglio nazionale dell'Ordine dei consulenti del lavoro, presente ieri all'audizione –. Il punto di caduta è però che anche per questo progetto non troviamo un sistema di riferimento comune e che ogni regione fissa regola differenti. L'assoluta disomogeneità dei sistemi di accreditamento e la mancanza di chiarezza sulla remunerazione a risultato, anche in questo caso, ostacola la presenza di un sistema di operatori privati accreditati nel sistema dei servizi per il lavoro».

Oltre alla definizione a livello costituzionale della responsabilità statale nella garanzia del diritto per ogni disoccupato ad accedere a un sistema di servizi per il lavoro, nel documento depositato in audizione è stata evidenziata la necessità di una previsione chiara dell'obbligo dei titolari di trattamenti di disoccupazione di qualsiasi natura di partecipare a «interventi di attivazione al lavoro». La presenza di una norma di questo tipo, peraltro richiesta più volte dalla Ue, secondo una categoria professionale che gestisce quotidianamente oltre un milione di aziende e sette milioni di rapporti di lavoro, «comporterebbe almeno un 20% di rifiuti e la conseguente cancellazione dalle liste porterebbe a una corrispondente diminuzione del tasso di disoccupazione».

La presenza sul territorio nazionale di un sistema di osservatori permanenti del mercato del lavoro, che vincolino l'offerta formativa finanziata dal sistema pubblico agli esiti della valutazione dei fabbisogni reali delle imprese, rafforzerebbe, infine, una collaborazione e integrazione ancora deficitaria.

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