Previdenza

Lo stop al "pro rata" mette a rischio i conti delle Casse

di Federica Micardi

La previdenza delle professioni deve confrontarsi con i paletti interpretativi della Cassazione. La sentenza della Suprema corte 17892 del 13 agosto scorso che "annulla" il pro rata costringe alcune enti previdenziali a rifare i calcoli su entrate e uscite. Il caso trattato riguarda, in particolare, la Cassa di previdenza dei ragionieri che ieri ha organizzato a Roma il forum "Il futuro delle Casse di previdenza".

«Chi è in pensione con le vecchie regole – spiega Luigi Pagliuca, presidente della Cnpr – prende il quadruplo di quanto ha versato e ora, dopo la posizione assunta dalla Cassazione, vengono vanificati gli interventi correttivi fatti negli ultimi anni per mitigare la disparità di trattamento tra vecchi e nuovi iscritti».

La sentenza 17892 ha bocciato la norma di interpretazione autentica inserita nella legge di Stabilità 2014 per "blindare" le riforme previdenziali fatte dalle Casse di previdenza privatizzate, ritenendola incostituzionale. In pratica il sistema del pro rata viene "vanificato" e quindi per chi ha i requisiti necessari la pensione dovrà essere calcolata con il solo sistema retributivo. Una decisione che per la Cassa ragionieri comporta un esborso di 200 milioni di euro di arretrati, a cui vanno aggiunti 15 milioni di euro ogni anno in più di uscite. «Non posso chiedere ai giovani un simile sacrificio – afferma Pagliuca –: se le cose non dovessero cambiare preferisco far fallire la Cassa e il sistema pubblico dovrà prendersi in carico le nostre pensioni e sono convinto, nel futuro, anche quelle delle altre Casse».

La posizione della Cassazione è stata una doccia fredda, infatti le ultime sentenze avevano appoggiato le Casse nei loro tentativi di ridurre la disparità di trattamento tra vecchi e nuovi iscritti.

Andrea Camporese, presidente dell'Adepp, l'associazione che rappresenta 19 Casse professionali ammette: «Il problema è delicato e rilevante per il suo impatto sociale, è necessario riformulare il patto tra le generazioni attraverso il metodo democratico di dialogo e confronto. Diverse – prosegue Camporese – sono le leve su cui poter intervenire: la tassazione, se più leggera come nel resto d'Europa, libererebbe risorse importanti anche se non sufficienti, forme di welfare calibrato sulle specifiche necessità professionali e l'introduzione di elementi solidaristici tra colleghi».

All'incontro di ieri non sono mancate le provocazioni: Alberto Brambilla, docente di Gestione delle forme previdenziali pubbliche e complementari presso l'Università Cattolica invita i giovani professionisti a fare causa alla Cassazione, che con la sua sentenza «ha ancora una volta dimostrato come in Italia si guardi la forma e non la sostanza». Per rendersi conto della gravità della situazione aiutano i numeri forniti da Mauro Maré, presidente Mefop (la società per lo sviluppo del Mercato dei Fondi pensione partecipata a maggioranza dal ministero dell'Economia) «se prima c'erano quattro lavoratori attivi per ogni pensionato oggi il rapporto è di 1,7 a 1: date queste premesse o chi lavora versa il doppio dei contributi, o le pensioni erogate vengono tagliate, o si trova una via di mezzo».

Il 18 settembre la Cassazione dovrà decidere se distinguere tra il periodo ante 2007 e post 2007; inoltre non è esclusa la possibilità che la Suprema corte chieda l'intervento della Corte costituzionale. La partita quindi è ancora aperta. Intanto, sulla «Gazzetta Ufficiale» n. 210 di ieri è stato pubblicato l'elenco aggiornato delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidsto, nel quale sono incluse anche le casse di previdenza.

Corte di cassazione - Sezione Lavoro - Sentenza del 2 agosto 2014 n. 17892

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