Previdenza

Sulle uscite flessibili una riforma senza ambiguità

di Maria Carla De Cesari

É stato così per gli addetti a lavori usuranti; per chi è rimasto impigliato nell’innalzamento dei requisiti per la pensione introdotto dalla legge Fornero eccetera. Legiferare per casi, tuttavia, mette a rischio la logica del sistema, senza definire un’architettura alternativa, con ripercussioni sia per quanto riguarda le conseguenze delle misure sul bilancio statale sa per quanto riguarda l’eguaglianza e l’equità nei trattamenti.

È per questi motivi che il dibattito avviato nelle scorse settimane sulla necessità di introdurre forme di flessibilità per chi volesse optare per un anticipo della pensione deve fare piazza pulita dalle ambiguità che sono sullo sfondo: si deve trattare di una misura generale, potenzialmente valida per tutti - uomini e donne, del privato e del pubblico senza creare nuove disparità - e senza scaricare il costo sull’Erario.

Non si può dimenticare che le pensioni devono essere pagate con le risorse della previdenza, l’equilibrio non può essere rinviato.

Se c’è chiarezza e condivisione su questi punti, aprire una nuova strada di flessibilità in uscita può tradursi in una chance per tutti: per i lavoratori che guadagnano tempo per sé; per le imprese che possono inserire persone giovani o con nuove competenze negli organici; per il sistema previdenziale che paga sì assegni aggiuntivi ma investe su nuovi contributori.

Il patto definito con i contratti di solidarietà espansiva vent’anni fa può fungere da paradigma: l’onere del pensionamento anticipato può essere, in parte, suddiviso: nel conto finale per l’Erario vanno tenute presenti le risorse che possono arrivare come contropartita alle uscite. In una sistema finanziato a ripartizione, infatti, l’equilibrio è dato sì dalla corrispondenza tra contributi versati dal singolo e importo della pensione ma anche dal rapporto tra attivi e pensionati.

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