Previdenza

Per la pensione retributiva si scorpora la disoccupazione

di Matteo Prioschi

Nel calcolo della quota retributiva della pensione si devono poter escludere i periodi in cui si sono percepiti contributi per disoccupazione, che abbassano la retribuzione di riferimento e quindi l’assegno previdenziale.

Con la sentenza 82/2017 depositata ieri, la Corte costituzionale ha stabilito l’illegittimità dellarticolo 3, comma 8, della legge 297/1982 nella parte in cui non prevede la possibilità per un lavoratore, che ha già maturato i requisiti assicurativi e contributivi per la pensione e ha percepito contributi di disoccupazione nel periodo utilizzato per il calcolo, di avere una pensione non inferiore a quella che si otterrebbe scorporando il periodo non lavorato.

La legge 297/1982 ha stabilito che la pensione retributiva, oggi la quota retributiva della pensione, viene calcolata prendendo come riferimento le retribuzioni «percepite in costanza di rapporto di lavoro, o corrispondenti a periodi riconosciuti figurativamente, ovvero ad eventuale contribuzione volontaria, risultante dalle ultime 260 settimane di contribuzione antecedenti la decorrenza della pensione».

Il tribunale di Ravenna ha sollevato la questione di legittimità della norma in relazione al principio di ragionevolezza sancito dall’articolo 3 della Costituzione, alla proporzionalità tra lavoro prestato e pensione (articolo 36) e adeguatezza del trattamento previdenziale (articolo 38).

L’articolo 3, comma 8 della legge 297/1982 è già stato oggetto di altre pronunce di illegittimità della Consulta e a tali decisione i giudici si rifanno nella sentenza 82/2017. Quando un lavoratore ha già raggiunto i requisiti assicurativi e contributivi per la pensione, «la contribuzione acquisita nella fase successiva non può determinare una riduzione della prestazione virtualmente già maturata». Questo principio è già stato applicato in passato in caso di prosecuzione volontaria (sentenza 307/1989), di retribuzione dell’ultimo periodo notevolmente inferiore a quella precedente (sentenza 264/1994), di contribuzione figurativa per integrazione salariale (sentenza 388/1995).

Con la decisione depositata ieri, quindi, viene prevista la possibilità di escludere dal conteggio anche i contributi da disoccupazione, sempre se in precedenza si è già raggiunto il requisito previdenziale. Secondo i giudici, «sarebbe intrinsecamente irragionevole un meccanismo che, per la fase successiva al perfezionamento del requisito minimo contributivo, si tramutasse in un decremento della prestazione previdenziale, in antitesi con la finalità di favore che la norma persegue, nel considerare il livello retributivo, tendenzialmente più elevato, degli ultimi anni di lavoro».

La norma attuale, secondo la Consulta, è lesiva dei diritti previdenziali con riferimento agli articoli 36, comma 1, e 38, comma 2, della Costituzione.

È stata invece dichiarata inammissibile la richiesta del tribunale di Ravenna di estendere la neutralizzazione dei contributi da disoccupazione e integrazione salariale oltre i cinque anni precedenti la pensione, in quanto non sono state evidenziate ragioni idonee.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©