Previdenza

Pensioni: pressing su «età» e donne, oggi round con i sindacati

di Marco Rogari e Gianni Trovati

Agevolazioni per le donne, stop all’aumento automatico a 67 anni dell’età pensionabile e immediato adeguamento dell’indicizzazione per gli assegni pensionistico. Il piano d’attacco dei sindacati per il nuovo round sulla previdenza con il Governo in programma oggi pomeriggio è pronto da tempo. Come anticipato da Marco Leonardi (del team economico di palazzo Chigi) sulle pagine del Sole 24 Ore di ieri, l’esecutivo sarebbe disponibile a uno sconto contributivo di un paio d’anni, magari parametrato sul numero di figli, per rendere più agevole l’accesso all’Ape alle donne.

Il Governo sarebbe però intenzionato a tenere duro su indicizzazione e età pensionabile, sulla quale si potrebbe aprire uno spiraglio di trattativa per i lavori gravosi. Ma Cgil, Cisl e Uil (e non solo) spingono per ottenere correzioni significative. E il pressing cresce d’intensità anche in vista dell’allineamento a 66,7 anni del requisito di vecchiaia delle donne (un anno più per le lavoratrici private e 6 mesi per le autonome) a quello degli uomini che, per effetto della riforma Fornero, scatterà a gennaio 2018 facendo salire così la soglia di uscita al livello più alto in Europa. Una spinta quella che arriva dai sindacati e da diversi settori della maggioranza che non interessa solo le pensioni. Anche il pubblico impiego è nel mirino. Ma «dal Pd non ci sarà alcun assalto alla diligenza», ha assicurato ieri il segretario Matteo Renzi.

Sul tema statali, nelle ultime ore hanno cominciato a circolare con insistenza voci di un irrobustimento della dote per i rinnovi contrattuali dei dipendenti pubblici, che si attesterebbe a 1,5-1,6 miliardi per garantire un aumento contrattuale di 85 euro. Nelle scorse settimane si era sempre parlato di un intervento di 1,2-1,3 miliardi con la possibilità di arrivare non oltre gli 1,5 miliardi.

Sulle pensioni la partita è più complessa, soprattutto a causa dello scoglio-risorse. Il ministro Pier Carlo Padoan ha più volte parlato di “sentiero stretto” e ha indicato, insieme al premier Paolo Gentiloni, nel taglio del cuneo per i giovani, nel rafforzamento della lotta alla povertà e nella spinta agli investimenti le tre priorità della prossima manovra. Allo stesso tempo dalla Ragioneria generale dello Stato è arrivato un sostanziale stop, così come dall’Inps, a ipotesi di rinvio dell’adeguamento automatico dell’età pensionabile all’aspettativa di vita (da definire a fine anno per diventare operativo nel 2019) che metterebbero a rischio nel medio periodo la sostenibilità del sistema previdenziale. Il congelamento della soglia di vecchiaia per uomini e donne (dopo l’allineamento del 2018) costerebbe non meno di 1,2-1,5 miliardi.

Ma i sindacati e una parte consistente della maggioranza non ci stanno: anche sul versante dell’accesso all’Ape delle donne chiedono che venga riconosciuto il lavoro di cura con un bonus contributivo significativo. Con tutta probabilità i sindacati andranno all’attacco anche sulla perequazione delle pensioni. Un nodo che per il Governo deve essere affrontato il prossimo anno visto che il verbale d’accordo dello scorso autunno fissa al 2019 il ritorno al meccanismo targato Prodi. Tra i temi in discussione anche il potenziamento della Rita (Rendita integrativa temporanea).

Sul pubblico impiego, le cifre più “ricche” circolate ieri sono il segno del fatto che i lavori sono ancora in pieno corso, e il conto finale dipenderà anche dal modo in cui si sistemeranno gli altri tasselli della manovra. Il punto è duplice: la misura, da un lato, deve finanziare l’aumento medio da 85 euro scritto nell’intesa fra il governo Renzi e i sindacati del 30 novembre scorso, e questo obiettivo, secondo i calcoli circolati finora, sarebbe appunto soddisfatto con 1,2-1,3 miliardi.

In gioco, però, c’è anche l’incrocio fra gli aumenti in arrivo e il rischio, per una fetta degli statali, di perdere il diritto al bonus da 80 euro, “impoverendo” così l’effetto reale del rinnovo sulla loro busta paga. Il tema è stato al centro, la scorsa settimana, anche dell’ultima riunione fra Aran e sindacati, da cui è emerso che per salvare il «bonus» (altro punto garantito dall’intesa di novembre) servirebbero circa 200 milioni. Ecco quindi profilarsi il miliardo e mezzo di cui si è parlato ieri. I numeri definitivi, si diceva, arriveranno dopo il via libera ufficiale della Ue al deficit 2018 all’1,8% (invece che all’1,3%), su cui tornano a moltiplicarsi i segnali positivi da Bruxelles. Questa “nuova flessibilità”, però, dovrà fare i conti anche con l’altra richiesta europea, quella di intervenire sulla spesa primaria, e sull’obiettivo non più rimandabile di una riduzione del debito.

Per quest’ultimo aspetto, per la commissione non basterebbe l’effetto trascinamento della crescita, perché l’attesa è per un intervento diretto sullo stock del passivo.

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