Previdenza

L’Iva si applica al 4% in attesa del cambio di linea della Ue

di Stefano Sirocchi

La maggiore libertà di utilizzo dei buoni pasto non dovrebbe comportare conseguenze sul trattamento fiscale per il datore di lavoro in relazione ai costi sostenuti per l’acquisto dei ticket.

Sul piano della qualificazione, i buoni pasto sono documenti di legittimazione che attribuiscono al titolare, in base all’articolo 2002 del Codice civile, il diritto a ottenere il servizio sostitutivo di mensa per un importo pari al valore facciale del buono (articolo 2 del decreto).

Ai fini Iva, se non vi fosse una disciplina specifica, bisognerebbe considerare i ticket alla stregua dei “buoni acquisto o regalo” (ad esempio buoni benzina, gift card eccetera) acquistati dalle aziende e consegnati gratuitatamente ai propri dipendenti, clienti e fornitori per finalità promozionali, nonché spendibili - nei limiti del rispettivo valore facciale - presso una rete di esercizi commerciali convenzionati per comprare beni e servizi. Le Entrate hanno precisato che la circolazione di tali documenti non comporta anticipazione della cessione del bene cui il buono stesso dà diritto e non assume rilevanza ai fini Iva, poiché in base all’articolo 2, comma 3, lettera a) del Dpr 633/1972, le cessioni che hanno per oggetto denaro o crediti in denaro non sono considerate cessioni di beni (risoluzione 21/2011).

L’esclusione dell’Iva, che si applicherà al momento della consegna dei beni o prestazione dei servizi in cambio del titolo di legittimazione, è anche prevista dalla direttiva europea 2016/1065 del 27 giugno 2016 per i “buoni multiuso”. Peraltro, nella nozione di buoni multiuso dovrebbero rientrare anche i buoni pasto e la direttiva dovrà essere adottata dagli Stati membri entro il 31 dicembre 2018.

Al momento, tuttavia, le regole da applicare sono quelle contenute nell’articolo 75, comma 3 della legge 413/1991, che, per le somministrazioni dei servizi sostitutivi di mensa, ossia per i buoni pasto, fissa l’aliquota Iva al 4%, parificandola a quella prevista per le somministrazioni rese nelle mense aziendali. Inoltre, la base imponibile da assoggettare all’Iva con l’aliquota ridotta è costituita dal prezzo fissato tra le parti, che può essere diverso dal valore facciale riportato sui buoni (risoluzione del 3 aprile 1996, n. 49/E).

Si ritiene che a seguito delle modifiche apportate all'articolo 19-bis1, comma 1, lett. e) del dpr 633/1972 (dall'articolo 83, comma 28-bis, d.l. 112/2008), dal 1° settembre 2008 i datori di lavoro possano esercitare il diritto alla detrazione, sempreché la spesa sia inerente. In vigenza dell’articolo 285 del Dpr 207/2010 (abrogato dall’articolo 217, comma 1, lettera u, dal 19 aprile 2016), il buono pasto doveva essere utilizzato uno alla volta e durante la giornata lavorativa anche se domenicale o festiva. Pertanto era ragionevole sostenere l’inerenza di queste spese in quanto i ticket dovevano essere utilizzati in modalità analoga al servizio di mensa aziendale.

Con il decreto 122/2017, invece, i buoni possono essere utilizzati in qualsiasi giorno e sono cumulabili fino a otto. In queste circostanze, poiché non è dato sapere quale sia l’effettiva destinazione degli acquisti, che infatti potrebbero avere finalità private (come ad esempio la spesa per tutta la famiglia) oppure no, sarebbero opportuni chiarimenti sulla possibilità di operare la detrazione dell’imposta.

Ai fini della determinazione del reddito di impresa, i costi per l’acquisto dei ticket dovrebbero continuare a essere integralmente deducibili, senza scontare il limite del 75% fissato per le spese di vitto e alloggio dall’articolo 109, comma 5 del Tuir, come precisato dall’agenzia delle Entrate nella circolare 6 del 3 marzo 2009.

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