Previdenza

Welfare strategico nelle relazioni industriali

di Maria Carla De Cesari e Giampiero Falasca

Buoni pasto come denaro per fare la spesa: le previsioni del decreto 122/2017 costituiscono solo l’ultimo degli interventi per cercare di dare, attraverso i servizi, più valore alle buste paga, in un tempo in cui gli scatti monetari sono contingentati per le difficoltà generali e per il tentativo delle aziende di comprimere i costi.

Sempre più spesso i servizi che potremmo mettere sotto l’etichetta di welfare aziendale - di cui i buoni pasto sono una voce di base, insieme a interventi che rispondono a esigenze più articolate, come l’assicurazione-malattia, il voucher per la scuola dei figli o l’aiuto per la non autosufficienza - hanno “aggiunto” alla finalità di fidelizzare i dipendenti, la funzione di pagare produttività, innovazione ed efficienza.

È stata la legge di bilancio 2016 a sancire ufficialmente la possibilità di scambio tra il welfare e il salario di produttività, nel rispetto di massimali. I premi di risultato possono essere detassati fino a 3mila euro annui lordi (al lordo dell’imposta del 10%, ma al netto dei contributi). Il tetto è elevato a 4mila euro annui lordi se le aziende coinvolgono pariteticamente i lavoratori nell’organizzazione del lavoro. I potenziali beneficiari sono coloro che nell’anno precedente a quello di percezione dei premi abbiano dichiarato redditi di lavoro dipendente non superiori a 80mila euro.

Se previsto nell’accordo, il dipendente può (o, in taluni casi, deve) optare per uno o più benefit messi a sua disposizione, in sostituzione del premio in denaro, beneficiando così della detassazione piena.

Rimane fermo che il bonus fiscale spetta solo in caso di incrementi effettivi di produttività, redditività, qualità, efficienza e innovazione, che siano misurabili e verificabili. Inoltre l’incentivo deve essere erogato in esecuzione dei contratti aziendali o territoriali sottoscritti e depositati. L’attenzione al rispetto delle regole è particolarmente importante perché le agevolazioni fiscali rendono particolarmente attenta l’amministrazione finanziaria.

In altre situazioni, il welfare aziendale viene utilizzato come strumento di fidelizzazione del personale e attrazione di talenti sul mercato. Per fidelizzare questi lavoratori, accanto agli strumenti tradizionali (per esempio i patti di non concorrenza, gli accordi di stabilità e i divieti di storno) la costruzione di un pacchetto di flexible benefits diventa un fattore importante, capace di orientare la scelta di una certa azienda.

Il welfare aziendale, in altri casi, si configura come misura sostanzialmente compensativa di alcune penalizzazioni retributive: non sono poche le crisi aziendali dove l’applicazione di misure di contenimento del costo del lavoro viene accompagnata dal riconoscimento di beni e servizi rientranti nei panieri di welfare.

In altri casi, come nel rinnovo del contratto dei metalmeccanici, il welfare aziendale viene introdotto per attenuare – in maniera implicita - gli effetti negativi, nel breve periodo, di un sistema delle retribuzioni maggiormente ancorato ai risultati della singola azienda.

La diversità degli obiettivi perseguiti mediante il welfare aziendale dimostra la vitalità dello strumento. Vitalità amplificata dal fatto che il tema è entrato ormai in maniera stabile nel tavolo delle relazioni industriali.

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