Previdenza

Oggi dalla Consulta la decisione finale sull’indicizzazione

di Davide Colombo e Matteo Prioschi

È atteso per oggi il pronunciamento della Corte costituzionale sul decreto 65/2015 (convertito dalla legge 109/2015) con cui il governo di Matteo Renzi aveva riformulato le regole per l’indicizzazione all’inflazione delle pensioni cercando di rispondere alla bocciatura delle norme precedenti, arrivata sempre dalla Corte costituzionale con la famosa sentenza 70/2015. Dopo l’udienza pubblica di ieri, la Corte ha deciso di discutere la questione nella camera di consiglio di oggi, che dovrebbe portare a una decisione.

Ieri l’udienza pubblica convocata sulla questione è durata poco più di un’ora, a partire dalle 16, con tempi contingentati scanditi dal presidente della Corte, Paolo Grossi, che munito di campanello ha consentito ai singoli avvocati delle parti di parlare per non più di 5 minuti a testa. Diverse le parti coinvolte nella causa imperniata attorno a una quindicina di ordinanze di rimessione giunte alla Consulta per conto di numerosi ricorrenti; tra queste l’Inps e la Presidenza del Consiglio dei ministri. L’esposizione della questione è stata fatta dalla giudice relatrice, Silvana Sciarra, la stessa che si occupò della recedente sentenza.

Per capire la posta in gioco bisogna tornare alla riforma Monti-Fornero (Dl 201/2011), quando si decise non solo il definitivo passaggio al contributivo per tutti dal 2012 e l’innalzamento dei requisiti ma anche, con una norma transitoria, il blocco parziale dell’adeguamento all’inflazione degli assegni già in pagamento. Nel 2012 e nel 2013 venne così riconosciuto l’adeguamento pieno solo per le pensioni di importo fino a 3 volte il trattamento minimo, mentre nulla venne pagato per gli importi superiori. Con la sentenza 70, la Corte aveva dichiarato illegittima quella norma innescando una mina per i conti pubblici, dato che il costo di un pieno riconoscimento, a posteriori, della mancata perequazione venne stimato in 24 miliardi di euro. Di fronte a questo scenario il governo, nella primavera di due anni fa, ha varato appunto il decreto 65/2015, con cui è stato introdotto un nuovo meccanismo di perequazione riferito al biennio 2012-2013 che ha stabilito un adeguamento al 100% per gli assegni fino a 3 volte il minimo; del 40% tra 3 e 4 volte; del 20% tra 4 e 5; del 10% tra 5 e 6; nullo per importi oltre sei volte il minimo. Inoltre è stato definito un meccanismo di “consolidamento” parziale degli effetti di tali arretrati negli anni seguenti. Costo dell’operazione “solo” 2,8 miliardi di maggiore spesa previdenziale. Ovviamente chi è rimasto escluso ha fatto ricorso ponendo una questione di legittimità costituzionale sia sul biennio di mancata perequazione sia sul cosiddetto «mancato trascinamento» sul periodo 2014-2018.

I legali dei ricorrenti parlano di circa sei milioni di pensionati colpiti dal provvedimento: «Il decreto - è stato osservato - non ha dato attuazione alla precedente sentenza della Corte Costituzionale». Secondo l’avvocato dello Stato, Gabriella Palmieri, che in udienza ha difeso il decreto per conto della Presidenza del Consiglio, con il nuovo schema di indicizzazione «si introduce un meccanismo di rivalutazione decrescente e per classi», mentre per quanto riguarda il rispetto degli equilibri di bilancio il dispositivo è stato impostato in modo tale da «consentire di non sforare il limite del 3% imposto da Maastricht e di evitare una possibile procedura di infrazione europea».

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