Previdenza

Nel 2017-2020 c’è già un balzo della spesa previdenziale che non va aggravato

di Dino, Pesole

Non è tanto una questione di risorse che verrebbero meno, se si riuscirà alla fine a individuare la giusta via di compromesso nel confronto in atto sulle pensioni. Il problema, e il rischio che si paventa di conseguenza, riguarda da un lato la sostenibilità dei conti della previdenza nel medio periodo, dall’altro il vulnus in termini di credibilità che deriverebbe agli occhi dei mercati, di Bruxelles e delle agenzie di rating, qualora si ingenerasse il sospetto che per motivi di carattere politico-elettorale l’Italia è pronta a scardinare uno dei pilastri su cui si regge la tenuta dei conti pubblici.

La riforma varata nel dicembre 2011 dal governo Monti garantisce risparmi a regime per 68 miliardi, al netto delle salvaguardie disposte per gli esodati. Pare sacrosanto fissare un elenco ragionato di lavori gravosi e usuranti, che sarebbero esentati dall’aggancio automatico dell’età pensionabile a 67 anni in seguito all’aumento dell’aspettativa di vita certificato dall’Istat. Stando allo schema di ieri sera dal premier Gentiloni ai sindacati, l’intervento “in sette punti” tra cui spicca l’esenzione dall’aumento a 67 anni per 15 categorie di lavori gravosi e la revisione del meccanismo di calcolo per l’adeguamento dell’età alla speranza di vita, costerebbe 300 milioni, che salirebbero a 6-700 milioni se passasse la proposta della Cgil di uno sconto ulteriore di un mese.

Un impatto gestibile, ma evidentemente i conti veri andranno calibrati alla fine dell’esame della legge di Bilancio, appesantito da 4mila emendamenti già depositati al Senato. È a questo appuntamento che guardano Bruxelles e i mercati, stante il perdurante rischio che modifiche ben più consistenti stravolgano l’impianto originario della riforma, e i conseguenti risparmi attesi a regime.

Il punto di riferimento è rintracciabile nella Nota di aggiornamento al Def, laddove si segnala come pur incorporando per intero i risparmi attesi dalla riforma la spesa pensionistica aumenterà di circa l’8,3% tra il 2017 e il 2020 (da 264,6 a 286,7 miliardi. In rapporto al Pil, si raggiungerà il 15,3% per cento. È l’effetto dell’invecchiamento della popolazione, non adeguatamente compensato dal pari sostegno dei contributi dei lavoratori in attività, anche per effetto del minor apporto dei migranti. Le crude cifre sono queste, e di esse occorrerà tenere ben conto nel corso dell’esame parlamentare della manovra.

Un aumento oltre i limiti fissati dal Governo della spesa per pensioni dovrebbe essere compensato attraverso contestuali tagli o con l’aumento del gettito. Finanziare l’operazione in deficit è opzione da non perseguire, e poi attenzione al possibile aumento della spesa per interessi originato da un malaugurato ritorno della percezione sui mercati del “rischio-Italia”. Alla fine il conto sarebbe ben più salato e finirebbe per pesare su tutti, occupati, pensionati e giovani in cerca di occupazione.

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