Previdenza

Pensioni, spesa al top serve flessibilità

di Davide Colombo

Non sono solo i vincoli di bilancio a vietare un ritorno ai pensionamenti di anzianità o un blocco dei meccanismi automatici di adeguamento dei requisiti all’aspettativa di vita. Bisogna tenere conto anche della longevità della popolazione, tra le più alte dei paesi avanzati, che impone livelli di occupabilità a età superiori ai sessant’anni pena la non sostenibilità finanziaria del sistema.

È il messaggio che arriva dall’ultimo rapporto Ocse sui sistemi previdenziali, un documento che mette sotto la lente le riforme adottate negli ultimi tre anni nei 35 paesi dell’area e si concentra in particolare sui modelli di flessibilità studiati proprio per allungare la vita lavorativa. Un messaggio particolarmente forte per l’Italia, dove la spesa lorda per la previdenza è cresciuta di oltre il 20% nei primi tredici anni del secolo ( contro il 21,8% della media Ocse) e si colloca sui livelli più elevati in rapporto al Pil (tra il 15 e il 16%). «Insieme ad alcuni paesi come Francia, Spagna e Giappone - spiega Stefano Scarpetta, direttore per l’occupazione, il lavoro e gli affari sociali dell’Ocse - siamo il paese con le aspettative di vita più lunghe a 65 anni d’età, oltre 19 anni per gli uomini e quasi 23 anni per le donne». Significa che gli indici di dipendenza degli anziani (rapporto tra over 65enni e residenti in età da lavoro 20-64enni) sono destinati a raddoppiare nelle prossime tre decadi. Tra l’altro siamo tra i primi paesi della classifica di durata di un pensionamento (tra i 25 e i 27 anni).

Nel rapporto Ocse si citano sondaggi recenti secondo i quali circa due terzi del lavoratori dell’area vorrebbe poter contare su forme di flessibilità maggiore per lavorare diversamente prima di pensionarsi. Ma solo il 10% è riuscito a trovare una soluzione adeguata, e solo il 50% di chi lavora dopo i 65 anni è riuscito a passare a un contratto part time; una dinamica invariata da almeno 15 anni. «Ci sono limiti normativi sul fronte dei contratti ma manca anche un dialogo con i datori di lavoro – spiega Scarpetta – i quali non sono molto propensi a mantenere occupati i propri dipendenti oltre una certo limite di età. Eppure il contesto tecnologico è favorevole, pensiamo solo alle prospettive del telelavoro». I casi interessanti non mancano: le forme di riqualificazione professionale praticate in Finlandia o i sussidi per la formazione degli over 50enni in Germania. Mentre sono ancora poco significativi i casi di differimento della pensione individuati nelle analisi: in Canada, Danimarca, Giappone e in qualche altro paese chi lo ha fatto ha beneficiato di un bonus del 6-8% sulla pensione finale per ogni anno in più di lavoro dopo il termine normale.

In Italia la sperimentazione Ape risponde a questa domanda di flessibilità? «Va nella giusta direzione perché è una forma di finanziamento ponte che supera i vincoli di bilancio pubblico consentendo un ritiro anticipato ma, anche, il passaggio a forme di contratti diversi che possono essere cumulati, come il part time» risponde Scarpetta, in attesa che gli strumenti finalmente entrino in fase operativa.

Nel pieno del confronto sindacal-politico sull’età di pensionamento e la volontà (annunciata in vista del voto) di rimetter mano alla riforma del 2011, il Rapporto Ocse ricorda che l’Italia è il paese dell’area che ha l’età di uscita “effettiva” più bassa rispetto a quella di vecchiaia legale: nel 2016 è stata di 63 anni contro i 66,7 legali; 4,4 anni di differenza, mentre nella media degli altri paesi il divario tra età legale ed effettiva di uscita per pensionamento è di 8 mesi per gli uomini e di 2 mesi per le donne. Mentre se si guarda al limite legale, l’età normale di pensionamento per la generazione nata nel 1996 dovrebbe crescere fino a 71,2 anni nel 2065 (70,6 secondo la Ragioneria generale dello Stato). Secondo l’Ocse l’Italia avrà l’età per la pensione di vecchiaia più elevata dell’intera zona dopo la Danimarca. Ma appunto, conta l’età effettiva di pensionamento, come ha ricordato ieri commentando i dati Ocse il presidente dell’Inps, Tito Boeri. Altro primato dell’Italia, frutto della lunga eredità del sistema di calcolo retributivo, è nei tassi di sostituzione, ovvero il rapporto tra pensione e ultima busta paga, che si colloca tra i più elevati dell’area e può toccare nelle scenario base quota 83 per cento.

Lo scenario

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