Previdenza

Illegittima l’interpretazione autentica che interviene a contenzioso previdenziale aperto

di Silvano Imbriaci

La Corte costituzionale, con la sentenza 12 del 30 gennaio 2018, detta alcuni principi generali e di sicuro interesse, muovendo dall'esame di una questione pensionistica complicata ma di una certa rilevanza pratica, in margine alla verifica della legittimità costituzionale dell'articolo 18, comma 10 del Dl 98/2011, norma di interpretazione autentica dell'articolo 3, comma 2, del Dlgs 357/1990, con il quale sono stati ricondotti nei confini dell'assicurazione generale obbligatoria i regimi pensionistici esclusivi o esonerativi previsti a favore degli enti pubblici creditizi a decorrere dal 1° gennaio 1991.

Per rendere chiari i termini della questione occorre precisare che la vicenda si inserisce nell'ambito degli effetti della privatizzazione degli enti pubblici creditizi (legge delega 218/1990 e delega esercitata con Dlgs 357/1990), operazione con la quale i dipendenti di tali enti (anche quelli già in quiescenza) sono stati ricondotti nell'alveo dell'Ago sia pure in una gestione speciale, con contestuale trasformazione dei Fondi o Casse degli ex regimi esonerati in fondi integrativi dell'assicurazione obbligatoria, con l'intento comunque di mantenere, per quanto possibile, il trattamento previdenziale complessivo di maggior favore già goduto dai dipendenti in servizio o in pensione al 31 dicembre 1990.

Per questo, ossia per garantire questa tendenziale equiparazione, con riferimento proprio agli iscritti ai Fondi già in quiescenza, la gestione speciale dell'Ago avrebbe dovuto assumere a proprio carico una quota del trattamento determinata, secondo le tabelle allegate al Dlgs 357/1990, mentre i Fondi integrativi o gli stessi datori di lavoro avrebbero dovuto assumere quale proprio onere la differenza tra tale quota e il trattamento previdenziale complessivo di maggior favore cui i pensionati avrebbero avuto diritto in mancanza di riconduzione all'Ago.

Si tratta dunque di verificare la ripartizione degli oneri pensionistici tra gestione speciale e soggetti tenuti al trattamento integrativo. L'articolo 3, comma 2 del Dlgs 357/1990 in realtà aveva indicato un criterio di ripartizione, rappresentato dall'applicazione della quota sopra accennata, per ciascun titolare di trattamento pensionistico in essere alla data dell'entrata in vigore della legge delega; ma non aveva tenuto conto della situazione di coloro che avevano optato per la capitalizzazione di una parte del trattamento pensionistico all'atto del collocamento in quiescenza. In tali casi ci si è chiesto se il trattamento pensionistico di riferimento, sul quale applicare le percentuali di ripartizione, dovesse essere quello effettivamente erogato nel regime esclusivo al momento dell'entrata in vigore della legge 218/1990, senza considerare quanto capitalizzato, oppure il trattamento teorico che sarebbe stato corrisposto se l'interessato non avesse optato per la capitalizzazione.

In termini più diretti, l'onere per l'Inps (gestione speciale) sarebbe stato di differente impatto a seconda della determinazione del trattamento pensionistico in concreto spettante o valutato teoricamente, senza considerare l'avvenuta capitalizzazione. La tesi della giurisprudenza (isolata) che si era pronunciata sulla questione (Cassazione 1093/2006) andava nel senso di gravare la gestione speciale, nella percentuale prevista dalla legge, anche della parte dei trattamenti pensionistici eventualmente già liquidata in forma capitale, in quanto parte del trattamento pensionistico complessivamente e globalmente considerato.

In questo contesto interviene la norma di interpretazione autentica, oggetto dello scrutinio di costituzionalità. L'articolo 18, comma 10 del Dl 98/2011 stabilisce infatti che la norma sulla ripartizione degli oneri (l'articolo 3, comma 2) deve essere interpretata nel senso che la quota a carico della gestione speciale deve essere determinata con esclusivo riferimento all'importo del trattamento pensionistico effettivamente corrisposto, e, quasi a voler fugare ogni dubbio, con esclusione della quota eventualmente erogata ai pensionati in forma capitale.

La questione riguarda quindi l’identificazione di questa norma come norma retroattiva, peraltro intervenuta manifestamente a favore di una tesi già superata a livello giurisprudenziale e con l'unico scopo di evitare sia le successive soccombenze eventuali dell'Inps che esborsi di somme non preventivabili a carico della gestione speciale, per tutti i casi di capitalizzazione dei trattamenti pensionistici in questione.

La Corte costituzionale ritiene la questione fondata: anche se non è vietato al legislatore emanare norme retroattive, ciò che non può essere ammesso è la risoluzione di una specifica controversia dibattuta a livello giurisprudenziale con atti normativi privi dei requisiti di generalità ed astrattezza e dunque applicabili alla specifica situazione concreta (il c.d. ius singulare), invadendo quindi i confini del potere giudiziario. Si tratta, secondo la Corte, anche alla luce dell'articolo 6 della Cedu, di un uso distorto del potere legislativo, in quanto attuato mediante l'emanazione di norme concomitanti con un determinato andamento della lite, magari a distanza di vari anni rispetto alla norma interpretata, e dunque in circostanze di metodo e di tempistica se non altro sospette.

L'intervento normativo nel caso di specie, secondo la Corte, è chiaramente indirizzato a determinare l'esito di controversie analoghe che vedono l'Inps (gestione speciale) contrapposto al Fondo riferito a quello specifico datore di lavoro, in modo chiaramente favorevole alle ragioni dell'ente previdenziale (per motivi non lontani da logiche di risparmio di spesa pensionistica e contenimento dei costi).

Tale conclusione lapidaria della Corte è dimostrata da vari indizi:
- il lasso di tempo intercorso (21 anni) tra l'emanazione della norma oggetto di interpretazione e la norma di interpretazione, nonostante i dubbi interpretativi fossero sorti già all'alba della nuova regolamentazione;
- l'intento del legislatore di influenzare l'esito del contenzioso come rintracciabile all'interno della Relazione tecnica al disegno di legge di conversione in legge del Dl 98/2011 (dove si fa espresso riferimento alla prassi amministrativa seguita dall'Inps)
- la questione controversa riguarda in sostanza un unico Fondo (Fondo pensioni per il personale dell'ex Cassa di risparmio di Torino – Banca CRT s.p.a), per il quale è in atto il contenzioso con l'Inps; e dunque mancano i necessari requisiti di generalità ed astrattezza della norma, anche in assenza di indicazione, da parte dell'ente, di ulteriori Fondi che possono trovarsi nella medesima situazione (con ciò ridimensionando anche la questione dell'impatto con la Finanza pubblica e del risparmio di spesa pensionistica, quali elementi posti a giustificazione dell'intervento normativo di interpretazione)

Alla sentenza in commento deve quindi attribuirsi una certa rilevanza, non tanto per l'effetto che produce sulla questione controversa (che come abbiamo visto ha un ambito tutto sommato limitato di applicazione), quanto perché mette in guardia il legislatore dall'uso irregolare di una prassi tutt'altro che desueta, soprattutto nell'ambito di disposizioni pensionistiche e previdenziali, di adottare norme specifiche, con chiari intenti di economia di spesa, volte a determinare la soluzione di specifiche controversie in concreto, anche se con norme di interpretazione apparentemente destinate a disciplinare una fattispecie astratta.

Su questo, più che sul merito delle interpretazioni adottate o sulla stessa natura interpretativa della norma ai fini della tutela dell'affidamento dei destinatari, la Corte appare molto rigorosa, ritenendo davvero invalicabile il confine con il potere giudiziario, non superabile neanche in ragione di motivazioni che riguardano l'interesse al corretto e disciplinato flusso della spesa pensionistica.

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