Previdenza

Pensioni, allarme debito con stop riforme

di Davide Colombo e Marco Rogari

Senza le riforma pensionistiche varate dal 2004, legge Fornero compresa, il debito pubblico avrebbe raggiunto un livello pari al 150% del Pil nel breve periodo, per schizzare al 200% negli anni in cui si pensioneranno i baby boomers, tra il 2030 e il 2040. È quanto rivela una simulazione contenuta nella bozza del Def “tendenziale” presentato ieri dal Governo. Un esercizio che dà un’ulteriore rappresentazione statistica alle segnalazioni sul costo di eventuali misure di riduzione dei requisiti di pensionamento attuali finora espresse facendo riferimento al “debito pensionistico implicito”.

In particolare le previsioni del Def, senza le riforme adottate, farebbero arrivare la curva del debito/Pil al 250% subito dopo il 2040 e al 300% nei dieci anni successivi. Le stime sono realizzate al netto degli interventi varati con le ultime due leggi di Bilancio (dall’Ape agli aumenti delle 14esime e della no tax area per ipensionati) che invece hanno innescato nuova spesa pensionistica. Nelle nuove previsioni la spesa per pensioni rimarrebbe al di sotto del 16% del Pil fino al 2025 (15,8%) per poi salire al 16,7% nel 2030 e al 18,2% nel 2040. Qui il Def adotta lo scenario messo a punto dall’EPC-WGA (Economic Policy Committee - Working Group on Ageing) per il round 2018. Va sottolineato - si legge nel Def - che il picco di spesa pensionistica del 2040 risulta «sensibilmente meno elevato secondo lo scenario nazionale elaborato dalla Ragioneria Generale dello Stato, secondo cui tale picco sarebbe pari al 16,2 per cento del Pil, ovvero solo 1,1 punti di Pil al di sopra del livello previsto per il 2021».

Ieri Inps ha reso noto che nel primo trimestre 2018 sono state liquidate 110.997 pensioni, con un calo dell’8,3% rispetto allo stesso periodo del 2017. Quest’anno è scattato l’aumento dell’età di pensionamento di vecchiaia per le donne del settore privato con l’equiparazione con gli uomini a 66 anni e sette mesi. Per le pensioni di vecchiaia sono state liquidate nel complesso nel trimestre 29.554 pensioni con un calo del 14,4% sul primo trimestre 2017.

A far da controaltare alle proiezioni sulla spesa per pensioni c’è l’andamento della spesa socio-asssistenziale, che rimarrebbe invece piatta all’1% del Pil fino al 2035-2040. Un andamento quest’ultimo da confrontare, a sua volta, con i dati che arrivano dal primo allegato con gli indicatori di benessere equo e sostenibile (Bes), al debutto da quest’anno per misurare gli effetti delle politiche andando oltre la crescita del prodotto in termini reali.

«La diseguaglianza è aumentata, è una delle conseguenze profonde e più drammatiche della crisi altrettanto profonda che ha attraversato la nostra economia negli anni della recessione» ha osservato il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. che ha aggiunto: «È sicuramente un aspetto estremamente importante che deve essere oggetto di strategia di politica economica e sociale da subito».

In particolare tra il 2016 e il 2017 il tasso di povertà assoluto è cresciuto dal 7,9% al 8,3%, portando il numero di italiani in difficioltà estrema da 4,7 milioni a quasi 5 milioni. Mentre la crescita della diseguaglianza del reddito disponibile è fotografata in una crescita dell’indice dal 6,3% al 6,4%, sempre nel 2017. «La crescita del Pil pari all’1,5% - osserva Enrico Giovannini, portavoce dell’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile (Asvis) e tra i fautori del Bes - ha pesato solo per lo 0,6% sui redditi delle famiglie con effetti che abbiamo sotto gli occhi».

Tornando ai grandi aggregati di spesa indicati nel Documento c’è infine da segnalare una ripresa della spesa sanitaria dopo le misure di contenimento varate negli ultimi anni e che produrrebbero effetti fino al 2022 (il livello è attorno al 6,3%). Dopo quegli anni si tornerebbe a crescere al 7,7% nel 2060 e al 7,6% nel decennio successivo.

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