Previdenza

Un’occasione da non perdere per il sistema del welfare italiano

di Cristiano Gori

L’annunciata introduzione di una misura – il reddito di cittadinanza (Rdc) – destinata all’intera popolazione in povertà assoluta rappresenta un’occasione storica per il welfare italiano. È infatti un risultato atteso da oltre 30 anni e impensabile con i precedenti Governi. Nel progettarla, però, si stanno considerando alcune opzioni che impedirebbero di rispondere efficacemente alle esigenze dei poveri.

Primo, la riforma della riforma. Se il RdC fosse disegnato in discontinuità rispetto al reddito di inclusione vigente oggi, si produrrebbe il caos a livello locale: non solo si azzererebbe il lavoro faticosamente svolto finora, ma si assegnerebbero ai centri per l’impiego compiti di cui attualmente non sono in grado di farsi carico. In altre parole, nel 2019 non si riuscirebbe a introdurre il modello di intervento previsto dal RdC ma, esclusivamente, si vanificherebbero gli sforzi compiuti sinora, creando confusione nei territori. Qualunque riforma ambiziosa, come l’introduzione del reddito di inclusione, richiede anni per dare i suoi frutti ma ciò può avvenire solo in un quadro normativo stabile. Smontare l’impianto del Rei e ripartire da zero significherebbe ripetere l’errore – frequente in passato - di stravolgere le riforme varate dai precedenti Governi, per marcare la propria diversità, con conseguenze deleterie per la popolazione interessata.

Secondo, la confusione tra le politiche contro la povertà e le politiche contro la disoccupazione. In tutti i Paesi, il principale obiettivo delle prime consiste nel fronteggiare le molteplici dimensioni della povertà - economiche, familiari, lavorative, di salute, psicologiche, abitative, relazionali e altre. Incrementare l’occupazione degli utenti è uno dei fini ma non l’unico, come invece molti ritengono in Italia. Nel resto d’Europa – mediamente con minore disoccupazione e centri per l’impiego più strutturati rispetto al nostro Paese – le politiche contro la povertà riescono a condurre direttamente a un lavoro stabile il 25% dei beneficiari.

Il Rei guarda alle molteplici dimensioni della povertà e, dunque, per gli utenti con esigenze legate al lavoro prevede il coinvolgimento dei centri per l’impiego. L’annunciato sviluppo dei Cpi rappresenta una novità positiva poiché gli investimenti statali dedicati al Rei li hanno sinora trascurati. Tale novità non è in contrapposizione al mantenimento dell’impianto del Rei mentre è vero il contrario, poiché permetterebbe di rafforzarlo. La funzione di coordinamento complessivo della misura deve, però, rimanere ai servizi sociali comunali, gli unici con le competenze necessarie ad affrontare le molteplici sfaccettature della povertà.

Terzo, la fretta è cattiva consigliera. È sconsigliabile erogare già nel prossimo anno il reddito di cittadinanza a tutti i poveri. La misura, qualunque sia la sua forma definitiva, deve basarsi su un mix di contributi economici e progetti personalizzati costruiti dai servizi territoriali, innanzitutto Comuni e Cpi. Entrambi però non sarebbero in grado, in così breve tempo, di elaborare progetti per l’intera popolazione di riferimento. Pertanto, rivolgersi subito a ogni povero produrrebbe confusione e/o porrebbe il RdC sullo stesso piano di un mero contributo economico, danneggiandone oltretutto la credibilità. Invece, bisognerebbe prevedere che il RdC sia destinato a tutti i poveri al massimo entro un triennio, estendendo gradualmente l’utenza a partire dal 2019.

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