Previdenza

Cigs e mobilità in deroga, il governo proroga i sussidi

di Claudio Tucci

Il governo allarga nuovamente le maglie degli ammortizzatori sociali per non lasciare, da gennaio, senza reddito, stavolta, quei lavoratori in uscita da un’azienda che non possono usufruire dell’indennità di disoccupazione (perché non ne hanno i requisiti).

Per loro, in manvora, è spuntata la “proroga” della mobilità in deroga (sussidio che doveva sparire nel 2016) fino a una massimo di 12 mesi che spetteranno, così, anche a quei lavoratori «che hanno cessato il trattamento di cassa integrazione salariale in deroga per il periodo 1° dicembre 2017-31 dicembre 2018» e contestualmente «non hanno diritto» alla fruizione della Naspi (in pratica, non posseggono le 13 settimane di contribuzione nei quattro anni precedenti la perdita di un impiego e le 30 giornate di lavoro effettivo, a prescindere dal minimale contributivo, nei 12 mesi antecedenti il medesimo periodo di disoccupazione).

Saranno le regioni, entro il limite delle risorse residue (già stanziate), a finanziare questa nuova “deroga”; con l’obbligo, tuttavia, dal 1° gennaio, di applicare ai soggetti interessati specifiche misure di politica attiva, individuate in un apposito piano regionale da comunicare a Lavoro e Anpal.

Con l’estensione della mobilità in deroga, disposta in legge di Bilancio, si completa, di fatto, l’ampliamento degli ammortizzatori sociali messo in campo, da settembre a oggi, dall’esecutivo Conte per tamponare, in attesa di un decollo - che finora non c’è stato - delle politiche attive, e del reddito di cittadinanza, gli effetti del Jobs act, che, nel rendere universali i sussidi, ha fissato durate limitate (24 mesi, elevabili in casi particolari a 36 mesi, nell’arco del quinquennio mobile) e aumentato i costi per le aziende in caso di attivazione dell’ammortizzatore.

La riforma del 2015 – ha spiegato Pasquale Tridico, economista del lavoro a Roma Tre e consigliere economico del ministro del Lavoro, Luigi Di Maio – ha licenziato troppo in fretta strumenti utili senza al contempo prevedere politiche attive adeguate e sicurezze per i lavoratori. Manca in sostanza la tanto auspicata flexicurity che comincerà a prendere forma con il reddito di cittadinanza da aprile».

Nel frattempo, con il decreto emergenze, il governo “giallo-verde” ha reintrodotto, anche per gli anni 2019 e 2020, la Cigs per cessazione fino a 12 mesi (il 21 dicembre la Bekaert ha firmato, al ministero del Lavoro, l’accordo di re-industrializzazione).

A ottobre, poi, con il decreto “omnibus” è arrivata la seconda “spallata” al Jobs act: anche le imprese in difficoltà con organico inferiore alle 100 unità (vale a dire le Pmi) potranno beneficiare dell’allungamento della Cigs (anche nel 2019), fino a un massimo di 12 mesi, per completare riorganizzazione aziendale e investimenti. Sul piatto, tra ultimi mesi del 2018 e tutto il 2019, ci sono complessivamente 160 milioni; tutti fondi già stanziati dalla scorsa legge di bilancio.

La proroga della Cigs, di fatto, a tutte le imprese dovrà rispettare dei paletti: i 12 mesi in più saranno autorizzati nei casi di riorganizzazione aziendale, che prevede investimenti complessi o piani di recupero occupazionale che richiedono tempi aggiuntivi per essere completati. Nei casi di crisi, invece, la proroga della Cigs potrà arrivare fino a sei mesi (anche qui “giustificati” per portare a termine il piano di risanamento). La Cigs potrà essere prorogata sino a 12 mesi anche dopo la stipula di un contratto di solidarietà (per evitare o ridurre i licenziamenti dei lavoratori in eccedenza).

Adesso, in manovra, si chiude il cerchio, consentendo, nel 2019, 12 mesi in più pure di mobilità in deroga.

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