Previdenza

Tfr versato per errore bloccato nel fondo Inps

di Barbara Massara

Continua a essere bloccato all'Inps da anni il Tfr dei dipendenti di aziende che, per errore, dal 2007 lo hanno versato al Fondo di tesoreria, in quanto prive dei requisiti dimensionali minimi.

L’istituto di previdenza, infatti, non ha dato seguito alle istruzioni per il recupero illustrate con la circolare 37 del 1° marzo 2018, secondo cui la procedura avrebbe dovuto concludersi entro il mese di maggio dello scorso anno (si veda «Il Sole 24 Ore» del 17 e 25 marzo 2017, del 2 marzo e del 17 maggio 2018).

La conseguenza di questo impasse è che le aziende hanno fondi, anche consistenti, bloccati nelle casse dell’Inps, non utilizzabili per pagare anticipi e saldi del trattamento di fine rapporto, né rimborsabili.

L’errore

Le aziende coinvolte sono quelle che, per errore, nel 2007 o negli anni successivi nei quali hanno dato inizio alla loro attività, hanno sovrastimato la propria forza aziendale (i cui criteri di calcolo sono stati spiegati nella circolare 70/2007), quantificandola in misura pari almeno a 50 dipendenti (calcolata come media al 31 dicembre 2006 o alla fine del primo anno di attività per le aziende neocostituite).

La conseguenza di questo errore è stato l’indebito versamento al Fondo di tesoreria dell’Inps, istituito dall’articolo 1, commi 755-756, della legge 296/2006, del Tfr dei dipendenti che hanno scelto di non trasferirlo alla previdenza complementare.

Tale errore è stato comunque avallato dall’Istituto che ha indebitamente attribuito ad alcune aziende il codice autorizzativo 1R (che identifica le aziende con almeno 50 dipendenti e quindi tenute a conferire il Tfr).

Dal 2007 al 2016 le aziende hanno continuato a effettuare i versamenti, salvo messaggi di warning che dal 2015 la procedura Uniemens ha segnalato, ma che potevano essere facilmente forzati senza quindi inibire l’invio del flusso e il relativo pagamento in F24.

Solo nel 2016 i datori di lavoro hanno avuto piena contezza dell’errore compiuto quando l’Inps, con il messaggio 2078/2016, ha definitivamente inibito agli stessi la possibilità di versare attraverso il flusso Uniemens il Tfr rimasto in azienda, nonché di procedere al recupero delle relative prestazioni.

Dopo innumerevoli solleciti da parte delle aziende e dei consulenti, l’istituto di previdenza con la circolare 37/2018 ha illustrato la procedura e le tempistiche di adeguamento, nonché quelle per consentire il recupero degli importi versati, distinguendole in funzione del possesso della regolarità contributiva delle aziende interessate.

Aziende regolari

Per le aziende regolari, i cui versamenti sono ritenuti validi, l’iter prevedeva l’automatica attribuzione del codice autorizzativo 7W (o l’automatica sostituzione del vecchio codice 1R indebitamente attribuito) e l’eventuale comunicazione all’Inps della richiesta di liquidazione del Tfr (saldo o anticipazione) in favore dei dipendenti aventi diritto.

Per queste aziende, infatti, i Tfr indebitamente versati sarebbero stati liquidati direttamente dall’Inps ai dipendenti interessati, previa comunicazione da parte delle aziende dei relativi dati, secondo modalità che sarebbero state successivamente illustrate e che non sono ancora note.

La procedura descritta nella circolare 37/2018 è stata poi smentita dai fatti, in quanto non vedendosi le aziende attribuire il nuovo codice 7W, le stesse sono state costrette a richiederlo attraverso il cassetto previdenziale, non ricevendo comunque risposta.

Aziende irregolari

Per le aziende non in regola con la contribuzione, la procedura prevedeva che rimanesse in capo al datore di lavoro l’obbligo di pagare ai dipendenti i Tfr trasferiti al Fondo di tesoreria, con la possibilità di recuperare le somme indebitamente versate attraverso un’apposita istanza di restituzione, da presentare nel rispetto del termine prescrizionale di 10 anni (decorrente dalla data di versamento del contributo Tfr).

La decorrenza di questo termine prescrizionale dovrebbe essere sospesa da giugno 2016, cioè da quando l’Inps ha definitivamente bloccato i versamenti indebiti, senza però aver fornito fino a oggi la possibilità di richiedere la restituzione delle somme pagate.

Codice inesistente

Nonostante le buone intenzioni, da marzo 2018 nulla è accaduto, in quanto alle aziende “regolari” che attraverso il cassetto previdenziale hanno richiesto numerose volte lumi in merito all’attribuzione del nuovo codice autorizzativo, l’Inps ha testualmente risposto «che tale codice non risulta ancora censito e che la questione è stata sottoposta all’attenzione della Direzione Centrale dell’Istituto».

Il risultato è che, nonostante i proclami, la questione è ancora pendente e di conseguenza le aziende sono impossibilitate a utilizzare quei fondi indebitamente versati nelle casse dell’Inps o a chiederli a rimborso, fondi che per alcune fragili realtà aziendali possono anche rischiare di comprometterne la finanziaria sopravvivenza.

Dopo anni di indisponibilità di quelle somme, le imprese hanno già adeguatamente pagato l’errore di versare somme non dovute, e pertanto la mancata risoluzione della questione è diventata priva di qualsiasi ragionevole motivazione oltre che di estrema urgenza.

In sintesi

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