Previdenza

Per l’assegno sociale verifica dello stato di bisogno se si rinuncia all’assegno di mantenimento

di Silvano Imbriaci

L'articolo 3, sesto comma, della legge 335 del 1995 dispone, in materia di requisiti reddituali per l'accesso alla prestazione "assegno sociale", tra le altre cose, che alla formazione del reddito da valutare per l'attribuzione del diritto concorrono i redditi, al netto dell'imposizione fiscale e contributiva, di qualsiasi natura, ivi compresi quelli esenti da imposte e quelli soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o a imposta sostitutiva, nonché gli assegni alimentari corrisposti a norma del codice civile.

In relazione a tale norma, l'elaborazione giurisprudenziale abbastanza consolidata ha precisato che l'ampia formula usata dal legislatore («redditi di qualsiasi natura») e anche la non coincidenza con la nozione di reddito "fiscale" (dimostrata dal fatto che l'articolo espressamente ricomprende anche i redditi esenti da imposte) sono elementi che inducono a ritenere l'assegno sociale quale prestazione assistenziale sussidiaria, attribuibile solo a favore dei soggetti che effettivamente versino in stato di bisogno e, pertanto, che lo stesso non possa riconoscersi in presenza di entrate patrimoniali, attuali o concretamente possibili (fatta solo eccezione per le entrate espressamente escluse), incompatibili con la predetta situazione di bisogno. Inoltre la giurisprudenza è ferma nell'imporre che spetti alla parte richiedente la prestazione di allegare e comprovare la sussistenza dello stato di bisogno, ovvero la mancanza di entrate economiche superiori a quelle cui è normativamente subordinata la concessione della prestazione assistenziale (Cassazione civile 23477/2010).

Il requisito reddituale si valuta in base al reddito personale per i cittadini non coniugati oppure in base al reddito cumulato con quello del coniuge per quelli sposati. In particolare, per un soggetto singolo, non coniugato, il reddito personale non deve superare il limite di 5.830,76 euro (ovvero di 5.824,91 a partire dal 2016), mentre per i coniugati il limite reddituale è 11.661,52 euro (ovvero di 11.649,82 a partire dal 2016).

Nell'elencazione dei redditi che devono essere valutati ai fini dell'accertamento del raggiungimento dei limiti previsti dalla legge la norma fa riferimento agli assegni di natura alimentare corrisposti a norma del codice civile. In tale categoria deve ricomprendersi l'assegno di mantenimento corrisposto dal coniuge anche in sede di separazione o divorzio, stante la medesima natura di tipo alimentare che trova fondamento nel principio di solidarietà posto alla base indistintamente di tutti gli obblighi di mantenimento che le norme del codice civile (articolo 433 e seguenti) pongono a carico di determinati soggetti in virtù del particolare legame di parentela o affinità che le lega alla persona che si trovi in stato di bisogno.

Tra le varie questioni legate alla ricostruzione del profilo patrimoniale dei richiedenti la prestazione, la giurisprudenza si è spesso trovata di fronte alla situazione di separazione tra coniugi e rinuncia, da parte del richiedente la prestazione, all'assegno di mantenimento. Solitamente tale assetto di rapporti tra i coniugi in sede di separazione ricorre per motivi di comodità, o fiscali o di altra natura, che consigliano di non cristallizzare in un accordo l'obbligo dell'assegno di mantenimento (una variante è quella del pagamento in unica soluzione), regolando i rapporti o mediante l'attribuzione di una quota di proprietà di beni o attraverso altre erogazioni diverse e non periodiche. Sul punto la giurisprudenza si è sempre mostrata attenta a verificare la situazione in concreto, valutando tutte le componenti idonee a formare il reddito e la ricorrenza effettiva di uno stato di bisogno giustificativo dell'erogazione del trattamento.

Compito del giudice è quindi di accertare che la rinuncia all'assegno di mantenimento abbia una effettiva giustificazione e non si ponga come elemento dimostrativo dell'assenza di bisogno, in presenza magari di altre fonti reddituali. Dopo tutto, il ricorso all'assegno sociale è una richiesta di intervento rivolta alla collettività per coprire una situazione di bisogno del singolo: il soggetto che si trova in tale situazione, prima di rivolgersi alla solidarietà generale, è tenuto a richiedere il sostegno del coniuge in adempimento degli specifici obblighi giuridici tra persone legate dal vincolo coniugale, che continua ad avere effetti non solo dopo l'eventuale cessazione del matrimonio, ma anche dopo la morte (pensione di reversibilità).

La scelta da parte del coniuge di rinunciare alla corresponsione dell'assegno di mantenimento, anche in parte, per poi rivolgersi all'Inps per il pagamento dell'assegno sociale, costituisce comportamento fortemente sospetto circa l'intenzione di eludere i principi a sostegno dell'assegno sociale, in presenza di una presunzione, quantomeno, di possesso di redditi occulti o percepiti in altra forma che consente di mettere in dubbio l'effettivo stato di bisogno quale elemento necessario per l'attribuzione della prestazione assegno sociale (Corte di appello di Bologna, numero 979/2018).

Vi sono comunque pronunce di merito anche di segno contrario (per esempio tribunale di Roma, numero 383/2019), per le quali la volontarietà dello stato di bisogno costituisce elemento in sé irrilevante, dovendo il giudice valutare l'effettiva condizione indipendentemente dai motivi che l'abbiano causato, sempre che non sia dimostrato che la rinuncia costituisce comportamento simulato e fraudolento, finalizzato all'elusione delle norme e dei principi in materia di assegno sociale.

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