Previdenza

Quota 100, fino al 2036 la spesa si appesantisce di oltre 63 miliardi

di Davide Colombo e Marco Rogari

I pensionamenti agevolati da «Quota 100» e dalle altre misure varate dal Governo gialloverde aumentano l’incidenza della spesa previdenziale sul Pil di oltre 63 miliardi fino al 2036, lo 0,2% in media d’anno. Con un picco di maggiori uscite per quasi 9 miliardi nel biennio 2020-21, ovvero negli ultimi due anni della sperimentazione triennale prevista dal Decretone di gennaio (+0,5%). Lo rivela la Ragioneria generale dello Stato nel consueto report annuale sulle tendenze della spesa pensionistica e socio-assistenziale di medio-lungo periodo (fino al 2070). Dal documento emerge che la spesa sul Pil raggiunge un picco del 15,9% nel 2022, mentre negli anni seguenti non scenderà sotto il 15,6% fino al 2029.

Il documento è stato pubblicato ieri e arriva alla vigilia dei dati di cassa sulla spesa che Inps dovrà comunicare al Governo sulla base delle indicazioni prevista nel decreto salva-conti di luglio. Le uscite per pensioni aumentano di circa tre decimali di Pil in media d’anno tra il 2018 e il 2040 – secondo le proiezioni Rgs – con una deviazione al rialzo della curva della spesa determinata per due terzi proprio dalle nuove misure varate a gennaio.

Vale ricordare che le stime sono per definizione ottimistiche, visto che sono disegnate su uno scenario base che prevede una crescita media annua del Pil dell’1,2-1,3% in termini reali (mentre per quest’anno viene prevista una crescita dello 0,1%), un tasso di inflazione attorno al 2% e un tasso di disoccupazione in discesa fino al 7,9% entro il 2050. Un quadro macroeconomico fissato alla luce di una transizione demografica molto severa, secondo la quale nelle prossime cinque decadi si determinerebbe un calo del 28% dei residenti in età da lavoro (circa 6 milioni in meno di lavoratori potenziali); la produttività totale dei fattori crescerebbe dell’1,54%. Scenario non compensato dai flussi netti di migranti, in calo a loro volta di 54mila arrivi l’anno rispetto alle medie precedenti al 2010 (quando erano superiori a 200mila). A conferma dell’ottimismo di queste previsioni basta uno sguardo alla “gobba” di spesa fotografata dal Working group on age (EPC-Wga) della Commissione europea, secondo il quale tra il 2040 e il 2045, ovvero il momento di massima spesa dovuta al pensionamento dei baby boomers, il rapporto arriverebbe oltre il 18% del Pil contro il 16% dello scenario nazionale base.

Il report della Ragioneria, che evidenzia tra l’altro come l’anticipo a 62 anni determini una riduzione dell’assegno pensionistico, non contiene indicazioni di policy. Ma dedica un ampio focus agli automatismi del sistema pensionistico rispetto alle variazioni delle aspettative di vita. Proprio uno dei fattori toccati dalla contro-riforma di gennaio che, vale ricordarlo, ha congelato fino al 2026 gli adeguamenti automatici consentendo pensionamenti anticipati a 42 anni e 10 mesi a prescindere dall’età per gli uomini e 41 e 10 mesi per le donne. Osserva la Ragioneria che, senza automatismo, da un lato aumenta la spesa e, dall’altro, si riducono le prestazioni poiché il blocco incide anche sul coefficiente di trasformazione che calcola il valore dell’assegno per la componente contributiva. «La presenza di tali automatismi costituisce – si legge nel report – uno dei fondamentali parametri di valutazione dei sistemi pensionistici specie per i paesi con alto debito pubblico come l’Italia. Ciò non solo perché la previsione di requisiti minimi, coerenti con le esigenze di equilibrio finanziario del sistema pensionistico, costituisce una condizione irrinunciabile ai fini del perseguimento della sostenibilità, ma anche perché – si sottolinea – rappresenta la misura più efficace per sostenere il livello delle prestazioni, in un contesto di invecchiamento della popolazione».

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