Previdenza

Errori nelle comunicazioni previdenziali: danno e concorso di colpa dell’assicurato

di Silvano Imbriaci

Ancora un intervento della sezione Lavoro sul tema sempre attuale dei danni derivanti agli assicurati da erronee comunicazioni dell'INPS in materia previdenziale e contributiva.
La vicenda, in questo caso, muove da una circostanza ricorrente, anche se poi la sentenza si sofferma in realtà solo sull'aspetto del concorso di colpa: un assicurato riceve dall'INPS la comunicazione certificativa attestante l'esistenza di un certo numero di contributi utili per il conseguimento della pensione di anzianità. Rassegna le proprie dimissioni e ottiene il trattamento di quiescenza da una certa data. Successivamente, non molto tempo dopo, riceve una comunicazione dall'ente, che lo informa di aver revocato il trattamento pensionistico, in quanto una parte della contribuzione indicata nell'estratto (attività di apprendista artigiano) in realtà doveva essere attribuita ad un altro soggetto, ossia al fratello gemello dello stesso lavoratore, ovviamente con stesso luogo e data di nascita. Da qui anche la richiesta di restituzione degli importi nel frattempo ricevuti a titolo di pensione. I giudizi di merito condannano l'INPS al risarcimento quantificato nella misura dei ratei di pensione indebitamente riscossi e nelkla retribuzione netta perduta, con abbattimento di una percentuale (30%) per effetto del concorso di colpa dello stesso assicurato, consistente nel non aver tempestivamente segnalato l'erroneità dei dati contenuti nell'estratto, mediante la verifica e il confronto con i dati contenuti nel proprio libretto di lavoro. nel caso in questione, si discute in sostanza del concorso di colpa, quale circostanza che, se provata, per l'ente conduce all'esenzione di responsabilità a suo carico, e che, invece, è contestata in radice da parte del lavoratore.
La premessa è che al caso di specie sia applicabile de plano l'art. 54 della legge n. 88/1989 (Accesso dei cittadini ai dati personali, previdenziali e pensionistici), norma che obbliga gli enti previdenziali a comunicare, a richiesta esclusiva dell'interessato o di chi ne sia da questi legalmente delegato o ne abbia diritto ai sensi di legge, i dati richiesti relativi alla propria situazione previdenziale e pensionistica. La comunicazione da parte degli enti ha valore certificativo della situazione in essa descritta. Sulla questione delle erronee comunicazioni, la giurisprudenza della Cassazione ormai da qualche tempo segue un orientamento sempre più favorevole ai privati, ponendo maggiormente in rilievo i principi di buona fede e di tutela dell'affidamento del cittadino rispetto ad una interpretazione formale e chiusa basata sul significato letterale della disposizione sopra indicata (cfr. Cass. n. 23050/2017; n. 20086/2018). Si tratta, tuttavia, di stabilire come debba essere valutata la circostanza (se eventualmente accertata) della mancata cooperazione da parte dell'assicurato nella verificazione del danno, dal momento che è lecito chiedersi se, adoperando l'ordinaria diligenza, egli avrebbe potuto rendersi conto dell'errore compiuto dall'ente previdenziale.
E questo nella duplice evenienza della possibile diminuzione del risarcimento (art. 1227 c.c. I comma) secondo la gravità della colpa e l'entità delle conseguenze che ne sono derivate, e dell'assenza di risarcimento tout court per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza (art. 1227 c.c. II comma).
Secondo l'orientamento seguito dalla cassazione e confermato dalla sentenza in commento (Cass. Sez. Lav. 17 settembre 2019, n. 23114), l'Inps risponde delle erronee comunicazioni della posizione contributiva rese a seguito di specifica domanda dell'interessato, quando lo abbiano costretto alla cessazione anticipata del rapporto di lavoro, sulla base della responsabilità che, abbiamo visto, ha natura contrattuale.
Vi è comunque un ben preciso onere a carico dell'assicurato destinatario della certificazione, di attivarsi per interrompere il processo che determina l'evento produttivo del danno, quando l'errore in cui è caduto l'ente sia rinvenibile sulla base dei dati in suo possesso ed utilizzando l'ordinaria diligenza.
Naturalmente, stabilire il grado di diligenza richiesto è questione non sempre agevole, anche perché devono essere considerate oltre alle variabili del caso concreto, anche alcune circostanze, quali la normale assistenza in queste vicende da parte dei Patronati e degli Uffici del personale delle eziende, che conducono ad una scelta di rassegnare le dimissioni che si presume, solitamente, ben ponderata e valutata in tutti i suoi aspetti. Tuttavia, anche a prescindere dal grado di diligenza richiesto, l'omesso intervento dell'assicurato non costituisce di per sé circostanza idonea ad escludere la responsabilità dell'ente.
Il concorso di colpa, infatti, opera sulle conseguenze risarcitorie e non sull'an. La sussistenza di un obbligo di informazione dell'ente pubblico e il legittimo affidamento dell'assicurato determinano l'applicazione del c.d. principio – di derivazione penalistica - dell'equivalenza delle condizioni, secondo cui va riconosciuta efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuiito alla causazione dell'evento.

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