Previdenza

I conti sono sempre più in rosso, i comunicatori dicono no all’Inpgi

di Federica Micardi

I comunicatori non vogliono uscire dall’Inps per entrare nell’Inpgi, l’istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani. I dati del bilancio consuntivo dell’istituto, scrivono in un comunicato congiunto diverse associazioni (Ascai, Cida, Com&Tec, Confassociazioni, Ferpi, Iaa, Una) «confermano un dissesto finanziario annunciato: assestamento al bilancio 2019 meno 169 milioni di euro; preventivo 2020 quasi meno 190 milioni di euro». Ma non è tutto: le associazioni stigmatizzano la strumentale generalizzazione tra comunicazione e informazione.

Le cause del dissesto dell’Inpgi 1, che oggi conta 15mila attivi e 9mila pensionati, dipendono da diversi fattori, in primis il calo dei giornalisti dipendenti diminuiti di oltre 3mila unità in sei anni (nei primi sei mesi del 2019 si sono perse altre 400 posizioni); sul tavolo degli imputati ci sono anche le riforme passate ritenute non adeguatamente stringenti.

La soluzione trovata dal precedente Governo, contenuta nell’articolo 16-quinquies della legge 58/2019 di conversione del decreto crescita (Dl 34/2019) prevede di trasferire all’Inpgi dal 2023 (data che potrebbe essere anticipata) i comunicatori se l’istituto, nonostante le riforme che dovrà presentare entro il 30 giugno 2020, dimostrerà l’impossibilità di tornare in equilibrio.

E qui si pone il primo problema: chi sono e quanti sono i comunicatori. «Lo scenario, sia per l’Inpgi che per l’Inps cambia se i comunicatori sono 20mila oppure 200mila – fa notare Andrea Cornelli, vice presidente di Uma – e al momento quale sia il perimetro dei comunicatori non è chiaro ed è necessario stabilirlo. Per questo le associazioni dei comunicatori chiedono alle istituzioni che si faccia un tavolo di confronto dove vengano riperimetrati i ruoli e i compiti delle figure che lavorano nell’informazione e nella comunicazione».

Attualmente i segnali che arrivano dal Governo sembrano in continuità con il precedente Esecutivo; il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all’Editoria, Andrea Martella che si è detto favorevole all’idea di ampliare la platea Inpgi e, assicura il sottosegretario al Lavoro Francesca Puglisi, c’è la volontà di neutralizzare il rischio commissariamento dell’istituto previsto dal Dlgs 509/94, articolo 2, comma 2. Tecnicamente la moratoria prevista dalla legge 58/2019 è scaduta il 31 ottobre, ma l’emendamento che la proroga, escluso per inammissibilità dal decreto crisi – anticipa Puglisi – sarà ripresentato con il decreto fiscale. «Il Governo al momento è contrario al commissariamento - sostiene Puglisi - e vuole dare all’istituto il tempo di preparare una riforma».

In merito a un tavolo di confronto con i comunicatori Puglisi spiega che queste attività sono in stand by in attesa delle deleghe.

In questo scenario incerto «senza che ci sia un piano attuariale almeno ventennale i comunicatori sono impauriti e preoccupati per la loro pensione» racconta Massimo Fiaschi, segretario generale di ManagerItalia (Confcommercio); che aggiunge: «non è chiaro se la “trasfusione” di 20mila lavoratori sarà sufficiente o sarà solo un intervento tampone per rinviare un problema destinato a peggiorare». Fiaschi già sul Sole 24 Ore del 4 giugno aveva lanciato un allarme, «rimasto inascoltato».

Nessuno parla apertamente di contenzioso ma è una strada che nessuno si sente neppure di escludere.

Certo i numeri del bilancio consuntivo dell’Inpgi (di poco inferiori a quelli del bilancio di assestamento 2019 richiamati dai comunicatori) non sono confortanti: il patrimonio, oggi pari a circa 1,5 miliardi diventa negativo nel 2028; il saldo previdenziale nel 2018 è di- 147 milioni e il risultato economico è di - 161 milioni (era negativo per 100 milioni nel 2017).

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