Previdenza

Ocse: in pensione a 62 anni, aumentare l’età effettiva

di Davide Colombo

Il sistema pensionistico italiano resta tra gli osservati speciali nelle classifiche internazionali. L’anno scorso, prima del varo di “quota 100” e del congelamento fino al 2026 dei requisiti di anticipo alla speranza di vita (42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 e 10 per le donne), l’età effettiva di ritiro viaggiava attorno ai 62 anni, due anni meno della media Ocse. E ciò nonostante l’età legale per la pensione di vecchiaia sia tra le più elevate, a 67 anni. Mentre nel 2015 - ultimo anno utile per una comparazione globale - la spesa previdenziale era arrivata al 16,2% del Pil (+2,7% tra il 2000 e il 2015), seconda solo al 16,9% toccato dalla Grecia.

Il Rapporto “Pension at a glance 2019” pubblicato ieri dall’organizzazione parigina mette la Penisola tra i casi da seguire con attenzione non solo per le sue statistiche, piuttosto note, ma anche perché capeggia il gruppetto di Paesi che negli ultimi due anni «hanno fatto marcia indietro» rispetto alle precedenti riforme. Insieme all’Italia i Paesi che sono andati contro-corrente in un contesto di invecchiamento della popolazione e crescenti vincoli di bilancio, sono stati il Portogallo, la Repubblica Slovacca, l’Olanda e la Spagna. Negli anni precedenti lo avevano fatto Canada, Polonia e Repubblica Ceca.

L’Ocse aveva già bocciato “Quota 100” nell’Economic Outlook di settimana scorsa e ora torna a insistere sulla necessità di «aumentare l’età effettiva di ritiro dal lavoro». Ma il Rapporto di quest’anno accende un faro anche sul futuro previdenziale degli occupati atipici, un po’ in tutti i paesi esposti al rischio di pensioni inadeguate. Nel nostro Paese i lavori temporanei sono aumentati dal 10% di inizio secolo al 15% del 2017, ben oltre le medie Ocse, mentre il part-time involontario ha raggiunto il 10%, contro il 5% Ocse. A questi contratti corrispondono retribuzioni più basse che garantiranno, naturalmente, pensioni modeste. Una via indicata è nel progressivo allineamento delle aliquote contributive (quella dei dipendenti, al 33% in Italia, è la più elevata, mentre per gli autonomi in alcuni casi si ferma al 24% ). «I governi devono attuare rapidamente riforme più inclusive e armonizzate per tutti» ha affermato il segretario generale Angel Gurría. Altra strada da battere è una facilitazione all’accesso alle forme pensionistiche complementari. Bisogna agire su questo fronte, più che riconsiderare le attuali forme di finanziamento dei sistemi pubblici a ripartizione (gli attivi pagano le prestazioni vigenti) anche perché la durata delle pensioni si allunga: chi oggi entra nel mercato del lavoro trascorrerà da pensionato il 33,6% della sua vita, secondo le medie considerate, contro il 32% della coorte che va in pensione oggi.

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