Previdenza

Dopo Quota 100 uscite a 64 anni

di Davide Colombo e Marco Rogari

Evitare lo scalone tra la fine del 2021 e l’inizio del 2022 garantendo comunque una pensione anticipata flessibile ma con almeno 64 anni d’età. Aumentano i consensi, non senza alcune variabili, a questa soluzione per rendere il più indolore possibile la conclusione della sperimentazione triennale di Quota 100. Proprio l’innalzamento del requisito anagrafico a 64 anni rappresenta il denominatore comune, insieme con il calcolo interamente contributivo del trattamento anticipato, come già accade per “Opzione donna”, delle soluzioni alle quali guardano una parte del Pd e dei tecnici di area Dem. Ma anche di esperti indipendenti o vicini al Centro-destra. È il caso di Alberto Brambilla, già sottosegretario al Lavoro nel Governo Berlusconi e attuale presidente di Itinerari previdenziali, secondo il quale per scongiurare il rischio-scalone sarebbe necessario un pensionamento agevolato a 64 anni di età, adeguata alla speranza di vita con 37/38 anni di contributi. Quindi: Quota 101 o, più probabilmente, 102 interamente “contributiva”. Con un costo di circa 2,5 miliardi l’anno fino al 2028, che sarebbe significativamente inferiore a quello di Quota 100.

«L’adeguamento alla aspettativa di vita è previsto sia per la vecchiaia (oggi 67 anni) sia per l’anticipata (oggi 64 anni) ma non per l’anzianità contributiva perché - sottolinea Brambilla - tra meno di 8 anni sarebbe come scrivere che l’anzianità contributiva è abolita. Nell’ipotesi questa riforma parta dal 2021, considerando i 48,58 miliardi già stanziati dal decreto del 29 gennaio 2019, di cui se ne spenderanno circa 17 per le misure già in corso fino al 31 dicembre di quest’anno, (con un risparmio quindi di oltre 31 miliardi) il costo per questa proposta - aggiunge - sarebbe pari fino al 2028 (8 anni) a circa 20 miliardi poi, fino al 2036 di circa 1,9 miliardi l’anno, già previsto dal decreto». In altre parole dal 2021, secondo Brambilla, «si avrebbe un incremento di spesa di circa 2,5 miliardi l’anno fino al 2028 e 1,9 dal 2028 al 2038, dopo di che l’incremento si azzera. Rispetto a quanto stanziato si risparmierebbero oltre 11 miliardi al 2028 e circa 1 miliardo al 2036».

Quella di Quota 102 non è comunque la sola ipotesi sul tavolo. In attesa che parta il confronto tra Governo e parti sociali, annunciato nelle scorse settimane dal ministro del Lavoro, Nunzia Catalfo, i tecnici hanno già abbozzato alcune proposte. Che, almeno in parte, saranno sviluppati dal “pensatoio” allestito a Villa Lubin dal presidente del Cnel, Tiziano Treu, per trovare una via d’uscita al rischio-scalone. Del gruppo di lavoro fanno parte, oltre a Treu e a Brambilla, Angelo Pandolfo, Cesare Damiano, Marco Leonardi, Michele Raitano e Michele Faioli.

Chi ha già cominciate a calare le sue carte è il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico. Che nei giorni scorsi ha affermato che la via da percorrere è quella di uscite anticipate tarate sul grado di “gravosità” delle varie categorie lavorative e di incrementi dell’aspettativa di vita bloccati per anno di nascita del lavoratore-pensionato. Una sorta di pensione flessibile a punti sulla base della gravosità dell’attività svolta. La Commissione tecnica per lo studio delle attività gravose, che è stata nuovamente prevista dall’ultima manovra insieme a quella sulla separazione della previdenza dall’assistenza, appare evidentemente funzionale allo schema ipotizzato dal presidente dell’Inps. Uno schema che dovrebbe essere gradito anche alla ministra Catalfo. Resta da capire in che tempi verranno istituite le due commissioni.

Ma resta nutrito il gruppo di chi è convinto che la soluzione migliore sia da ricercare nella stessa Quota alzando i requisiti minimi e configurando l’assegno da erogare in versione esclusivamente contributiva (v. Il Sole 24 Ore del 28 dicembre scorso). Un percorso che anche secondo Marco Leonardi, uno dei consiglieri economici del ministro Roberto Gualtieri, andrebbe valutato con attenzione. Non mancano le “varianti”. Come l’ipotesi di fissare la soglia anagrafica sempre a 64 anni e collocare quella contributiva a 36 anni (anziché 38) facendo però crescere i costi, che era stata già valutata nel 2015 dal Governo Renzi.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©