Previdenza

Scalone, indicizzazione, spesa: mina pensioni a fine 2021

di Davide Colombo e Marco Rogari

Una “deadline” previdenziale che incute un certo timore tra addetti ai lavori e non. È quella del 31 dicembre 2021. Che, in assenza di interventi di riforma, potrebbe trasformarsi in una sorta di ingorgo pensionistico. Anzitutto, con la fine della sperimentazione triennale di Quota 100 si materializzerà un nuovo “scalone” che sarà al centro del round Governo-sindacati, convocato per il 27 gennaio, con almeno due opzioni sul tavolo: il ricorso a una Quota 102 tutta “contributiva” e una flessibilità calibrata invece sui lavori gravosi o più usuranti, che sembra prediligere anche il premier Giuseppe Conte. Ma dal 1° gennaio 2022 si esaurirà anche la stretta alle indicizzazioni degli assegni pensionistici, voluta dal precedente esecutivo “giallo-verde”e sempre contestata da Cgil, Cisl e Uil, che garantisce 3,6 miliardi di risparmio nel triennio 2019-2021 e quasi per nulla scalfita dalla mini-rivalutazione introdotta dall’ultima manovra.

Sempre nel 2022 la spesa per pensioni dovrebbe sfondare, secondo le ultime previsioni, il fatidico tetto dei 300 miliardi sotto la spinta dei nuovi pensionamenti anticipati. Non oltre la primavera del 2023 (scadenza della legislatura) dovrebbe poi essere pronta la nuova pensione di garanzia per i giovani con carriere discontinue, almeno stando al programma dell’attuale governo “giallo-rosso”.

Un incrocio di impatti contabili e scadenze che è di fatto imminente e che potrà essere evitato solo adottando per tempo accorgimenti e interventi legislativi appropriati. Anche per questo motivo ieri la ministra del Lavoro, Nunzia Catalfo, ha fissato per lunedì 27 gennaio il nuovo “faccia a faccia” con i sindacati sulla previdenza. La scorsa settimana Catalfo ha annunciato che sempre entro la fine del mese sarà costituita una commissione di esperti sulla materia per formulare «proposte che siano sostenibili per la finanza pubblica», che andrà ad affiancarsi a quelle già previste dall’ultima manovra sullo studio delle attività gravose e sul nodo previdenza-assistenza.

Il ministero del Lavoro ha anche gettato acqua sul fuoco sulle ipotesi in circolazione in questi giorni sul ricorso a una Quota 101 o, più probabilmente, 102 (64 anni di età e 38 di contribuzione) integralmente “contributiva” per evitare lo “scalone” di fine 2021 (v. Il Sole 24 Ore del 10 gennaio): in questa fase è «inutile dare numeri in libertà», ha sottolineato il dicastero guidato dalla Catalfo. Che, peraltro, guarda con attenzione alla proposta lanciata dal presidente dell’Inps, Pasquale Tridico: calibrare la nuova flessibilità in uscita sulla base della gravosità delle singole attività lavorative. E questa sembra anche essere la soluzione preferita dal premier Conte che in un’intervista al “Corriere della sera” ha indicato nella distinzione tra le attività più e meno usuranti l’opzione più gradita. Ma nella maggioranza c’è chi, come una parte del Pd e Italia Viva, guarda con molta attenzione all’ipotesi di un’uscita flessibile con almeno 64 anni di età e 37 o 38 anni di contribuzione (Quota 101 o 102) in versione tutta “contributiva”, sulla falsariga di Opzione donna. Una soluzione da introdurre in parallelo a un’Ape sociale rafforzata e a più vasto raggio per i lavoratori in situazione di difficoltà ed eventualmente anche per una fetta più ampia, rispetto a quanto previsto fino ad oggi, di quelli impegnati in attività gravose. Ma un secco no all’opzione Quota 102 è subito arrivato dai sindacati in attesa dell’apertura del confronto. Che sarà comunque preceduto dall’avvio di un tavolo tecnico a Villa Lubin, voluto dal presidente del Cnel, Tiziano Treu.

Il nodo principale resta dunque il post-Quota 100. Ma nell’individuare nuove forme di flessibilità per l’uscita dal lavoro si dovrà necessariamente tenere conto della corsa della spesa. Secondo le previsioni governative, infatti, tra il 2021 e il 2022, quando si concluderà la sperimentazione dei nuovi pensionamenti anticipati con 62 anni e 38 di contributi minimi, la spesa per pensioni passerà da 295,5 miliardi a 304 miliardi (15,9% del Pil). A quel punto si esaurirà anche l’effetto freno sulle indicizzazioni imposto dal governo Conte-1. Con i sindacati che continuano a invocare l’immediato stop del blocco parziale delle rivalutazioni. L’ultima legge di bilancio rivede in senso leggermente espansivo le regole di indicizzazione delle pensioni di importo fino a 4 volte il trattamento minimo Inps (513,01 euro mensili). A partire da quest’anno, in particolare, è ampliato il primo scaglione di indicizzazione (quello che corrisponde alla indicizzazione completa), portandolo da fino a 3 a fino a 4 volte il “minimo”. Per il biennio 2020-21, inoltre, gli scaglioni introdotti con la manovra per il 2019 sono ridotti da 7 a 6 e la percentuale di indicizzazione prevista per trattamenti compresi tra 3 e 4 volte il “minimo” è innalzata da 97 a 100 per cento. Dal 2022 continua a rimanere previsto un ritorno all’indicizzazione per fasce, che sarebbe a questo punto piena fino a 4 volte il “minimo”, mentre, se non ci saranno ulteriori modificazioni, si scenderebbe al 90% tra 4 e 5 volte il minimo e al 75% per i trattamenti superiori.

L’altro snodo chiave resta la pensione di garanzia per i giovani con carriere discontinue “avviate” nell’era “contributiva” (a partire dal 1996). Questa misura è prevista dal programma di governo e pure i sindacati spingono in questa direzione. Anche in questo caso lo scoglio da superare resta quello dei costi a regime soprattutto nel caso di un assegno di garanzia vicino ai mille euro.

Le regole di indicizzazione delle pensioni

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