Previdenza

L’Inps ribadisce le eccezioni al cumulo con le Casse di previdenza

di Pietro Gremigni

In caso di pensionamento in cumulo di più periodi assicurativi non coincidenti, ai fini della determinazione dell'anzianità contributiva precedente il 1996, rilevante per l'applicazione del sistema di calcolo della pensione, non si deve tenere conto dei periodi accreditati presso una Cassa previdenziale dei professionisti.

Così si è espressa l'Inps con il messaggio 14 gennaio 2020, 115 che conferma quanto già precisato con la circolare 140/2017, questa volta però attraverso una complessa e articolata argomentazione, elaborata probabilmente anche in funzione della possibilità di bloccare eventuali ricorsi su un passaggio delicato non previsto dalla norma di legge, ma frutto solo dell'interpretazione dell'istituto previdenziale.

In effetti, sia per la legge 228/2012 che per la successiva 232/2016, il sistema di calcolo applicabile in ogni gestione interessata al cumulo, salvo quella separata che segue comunque il metodo contributivo, si basa sulla somma dei periodi accreditati in ogni gestione antecedente al 1996; se tale somma risulta inferiore a 18 anni si applica un pro-rata retributivo fino al 31 dicembre 1995, e contributivo dal 1996 in poi.

Viceversa, se l'anzianità contributiva complessiva è pari o supera i 18 anni, allora le gestioni possono applicare il calcolo retributivo per i periodi anche successivi al 1996, quanto meno fino a tutto il 2011, salvo che l'importo della pensione conteggiato integralmente col metodo retributivo fino alla decorrenza della pensione sia inferiore a quello misto.

Ebbene per l'Inps i contributi maturati nelle Casse professionali regolate dal Dlgs 509/1994 (quali ad esempio Enpacl, Cassa commercialisti, Inarcassa, Cassa ragionieri, Cassa forense eccetera) non sono utilizzabili per accertare il limite dei 18 anni complessivi di contribuzione.

La motivazione da parte dell'Inps di questa esclusione che permetterebbe di variare, anche in maniera sensibile, l'ammontare complessivo della pensione in cumulo, è che alle Casse non potrebbe applicarsi la regola particolare descritta in precedenza qualora l'anzianità contributiva complessiva eccedesse i 18 anni. Ciò perché il sistema normativo e regolamentare delle Casse non prevede la possibilità di liquidare la pensione interamente col sistema retributivo/reddituale.

Pertanto, vista l'impossibilità di applicare una delle conseguenze principali del criterio di calcolo introdotto dalla legge 190/2014, cioè il doppio calcolo della pensione, ne consegue che le gestioni previdenziali valutabili ai fini di tale conteggio sono solo quelle relative all'assicurazione generale obbligatoria, le forme esclusive e sostitutive della medesima, comprese le gestioni dei lavoratori autonomi (artigiani e commercianti ad esempio).
Viceversa l'eventuale applicazione del sistema del doppio calcolo sarebbe impraticabile per le Casse, rispetto all'attuale ordinamento.

Va infine rimarcato un concetto che emerge dal nuovo messaggio dell'Inps e che cioè, quando la somma delle diverse anzianità non coincidenti fosse pari o superiore a 18 anni, per tutte le gestioni interessate al cumulo, salvo le Casse, si applicherebbe la regola legata al doppio conteggio.

Così se, per esempio, risultano accreditati nel Fondo pensioni lavoratori dipendenti 9 anni ante 1996 e 15 anni dal 2006 al 2020, e 9 anni nella gestione commercianti ante 1996 e 5 anni dal 2015 al 2020, in entrambe le gestioni si dovrà procedere al doppio calcolo e mettere in pagamento la pensione di importo inferiore. Anche se in entrambe le gestioni l'anzianità specifica ante 1996 risulta inferiore a 18 anni.

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