Previdenza

Contratti di espansione bloccati tra fondi esauriti e troppa burocrazia

di Giorgio Pogliotti e Claudio Tucci

Il sasso nello stagno l’ha lanciato, nei giorni scorsi, il direttore di Asstel, Laura Di Raimondo. Nella filiera delle Tlc (circa 130mila addetti, 210mila compreso l’indotto, età media, in molte imprese, intorno ai 50 anni) c’è necessità di accompagnare i processi di transizione del sistema produttivo, spinto dall’innovazione tecnologica e digitale, valorizzando, all’interno di piani di re-industrializzazione e riorganizzazione aziendale, percorsi di riqualificazione e/o riconversione delle professionalità.

In quest’ottica, ha spiegato Laura Di Raimondo, strumenti come il contratto di espansione - introdotto in via sperimentale per il 2019 e il 2020 dalla legge 58 del 2019 - potrebbero rappresentare «una valida risposta alla necessità di adeguare le competenze lavorative al rapido cambiamento in corso, dando vita a un patto intergenerazionale mirato a creare nuova occupazione, a favorire iniziative formative, accanto a un percorso di accompagnamento alla pensione» (del personale “senior”).

Il punto, tuttavia, è che, oggi, a oltre un anno dall’avvio della misura, questo strumento è in larghissima parte inapplicato: il contratto di espansione, fanno sapere dal ministero del Lavoro, è stato sottoscritto infatti solo da due grandi imprese, Tim ed Ericsonn. C’è, inoltre, un problema di risorse poiché quelle stanziate per gli interventi di integrazione salariale previsti dall’intervento (15,7 milioni di euro per il 2019, 31,8 milioni quest’anno, ndr), risultano già non più disponibili. Di qui l’appello del direttore di Asstel a «rendere la misura strutturale» e a finanziarla con una «adeguata dotazione» economica.

Il contratto di espansione, che ha superato il contratto di solidarietà espansiva, così come descritto dalla normativa vigente, si applica solo a imprese sopra i mille dipendenti, e, a seconda delle necessità, (e comunque previo accordo al ministero del Lavoro) consente scivoli fino a 5 anni, “deroghe” alla Cigs per un massimo di 18 mesi, piani di formazione mirati, ed assunzione di nuove risorse.

Fatto sta che proprio questa impostazione regolatoria piuttosto rigida, oltre che i pochi fondi messi sul piatto, finora, ne stanno rappresentando un forte limite.

Intanto, spiega Stefano Passerini, direttore dell’area sindacale di Assolombarda, «il requisito numerico dell’organico (oltre mille dipendenti, ndr) riduce notevolmente la platea delle possibili imprese utilizzatrici, di fatto escludendo la piccola e media impresa che costituisce la percentuale più consistente del tessuto economico del Paese. C’è poi un tema costi, visto che l’operazione è molto onerosa per un’azienda, non sono previste, ad esempio, agevolazioni per le assunzioni che si fanno in contropartita della solidarietà, e anche la formazione per il personale da riqualificare e gli eventuali prepensionamenti sono a carico del datore di lavoro. Certo, la complessità burocratica dell’operazione non è di aiuto; la sensazione che si ha è che il Legislatore del 2019 abbia disegnato uno strumento su misura per situazioni molto particolari, quando invece lo strumento, se opportunamente rivisto e semplificato, può essere utilizzato nei processi di reindustrializzazione e riorganizzazione delle imprese».

Il tema della “complessità” del contratto di espansione è evidenziato anche dal direttore delle relazioni Industriali di Federmeccanica, Daniela Dario: «Il nostro settore è rappresentato nel 95% dei casi da imprese fino a 50 dipendenti, che, oggi, sono quindi escluse dalla norma. In questa fase stiamo discutendo con i sindacati il rinnovo del Ccnl e stiamo approfondendo la questione relativa alla staffetta generazione. Ci tengo, tuttavia, a sottolineare un punto: qualsiasi strumento deve necessariamente tenere conto dei costi che non possono scaricarsi per intero sulle aziende».

La rapida innovazione e trasformazione dei modelli di lavoro richiede sempre più di individuare soluzioni idonee a gestire i processi di ricambio generazionale. Su questo, anche i settori chimico e farmaceutico sono da tempo impegnati.

Nel Ccnl 2012 è stato lanciato il «Progetto Ponte», con l’obiettivo di aumentare e favorire l’occupazione giovanile e dare una risposta ai problemi correlati con l’innalzamento dell’età media e con le esigenze di ricambio creando un vero e proprio “ponte” generazionale. Nel 2018 è stato avviato l’iter costitutivo del Fondo T.R.I.S (Tutele, Riqualificazione, Innovazione, Sostegno), Fondo di Solidarietà Bilaterale, formalizzato nel 2019 con uno specifico Accordo delle Parti sociali nazionali. La sua operatività è però subordinata ad un decreto ministeriale di recepimento che parti sociali, imprese e lavoratori si augurano venga emanato al più presto.

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