Previdenza

Istruzioni chiare, ma una norma tutelerebbe meglio le imprese

di Giuseppe Lucibello

Gentile Direttore,
la norma introdotta nel decreto Cura Italia e che tanto preoccupa il mondo delle imprese interviene su tre distinti punti prevedendo: 1) che in caso di accertata infezione da Covid-19 in occasione di lavoro, l’Inail assicura al lavoratore la tutela prevista dalla legge in caso di infortunio sul lavoro; 2) che le prestazioni di tutela assicurate dall’Inail sono erogate anche per il periodo di quarantena o di permanenza domiciliare fiduciaria dell’infortunato con la conseguente astensione dal lavoro; 3) che gli oneri dei predetti eventi infortunistici sono posti a carico della gestione assicurativa nel suo complesso e non vanno a gravare invece sulla posizione assicurativa del singolo datore di lavoro.

Il primo punto non rappresenta affatto una novità. È anzi la riaffermazione di principi vigenti da decenni, nell’ambito della disciplina speciale infortunistica, confermati da consolidata medicina legale e giurisprudenza di legittimità in materia di patologie causate da agenti biologici. Queste patologie infettive (vale per il Covid-19, così come, ad esempio, per l’epatite, la brucellosi, l’Aids ed il tetano) contratte in occasione di lavoro sono da sempre inquadrate e trattate come infortunio sul lavoro poiché la causa virulenta viene equiparata alla causa violenta, propria dell’infortunio, anche quando i suoi effetti si manifestino dopo un certo tempo.

Il secondo punto estende la tutela dell’Inail a tutto il periodo di astensione dal lavoro fino alla ripresa dell’attività lavorativa. Con ciò viene fatta chiarezza e resa certezza rispetto alla zona grigia concernente, per tali ipotesi, le diverse competenze rispettivamente di Inail e di Inps.

Il terzo punto interviene in favore del datore di lavoro perché prevede espressamente che i costi degli eventi lesivi conseguenti all’infezione da Covid-19 in occasione di lavoro non ricadono sul singolo datore di lavoro bensì vengono spalmati sul sistema nel suo complesso, ossia sono caricati sull’intera gestione assicurativa e non opera il meccanismo del bonus-malus.

Ed infatti, proprio in considerazione del fatto che il rischio Covid-19 rappresenta in origine un rischio esterno all’organizzazione del lavoro, il legislatore ha applicato la stessa regola che vale per l’infortunio in itinere (altro rischio esterno all’organizzazione del lavoro) e ne ha distribuito gli oneri sul sistema secondo un principio solidaristico.

In coerenza con questa linea e con i principi consolidati in materia si è espressa la circolare applicativa dell’Istituto, che sarà a breve integrata, che non prevede alcun automatismo ai fini del riconoscimento dell'infezione da coronavirus come infortunio sul lavoro. Ed infatti, solo in presenza di accertate modalità e circostanze della prestazione lavorativa che aggravano il rischio di contatto con l’agente patogeno si può ritenere probabile che la malattia sia stata contratta in occasione di lavoro. Non è sufficiente che il soggetto che ha contratto l’infezione sia un lavoratore, occorre anche che siano accertate modalità e circostanze dell’attività che giustifichino la presunzione di origine lavorativa. A questi principi si è attenuta la circolare Inail, che ha preso in esame diverse tipologie di attività lavorative rispetto alle quali il rischio generico di contatto con il Covid-19 si può ritenere aggravato, fino a divenire anche specifico, come nel caso degli operatori sanitari.

Cambiando prospettiva ed analizzando la questione nell’ottica del datore di lavoro, con riferimento all’azione di rivalsa dell’Inail, non c’è nessun automatismo tra riconoscimento dell’indennizzabilità dell’infortunio sul lavoro ed attivazione dell’azione di regresso nei confronti del datore di lavoro. Il riconoscimento medico legale dell’origine professionale della patologia, infatti, è totalmente estraneo da ogni valutazione in ordine alla imputabilità di eventuali comportamenti omissivi che possano essere stati causa del contagio e quindi dell’evento lesivo. L’attivazione dell’azione di regresso, invece, presuppone la configurabilità del reato perseguibile d’ufficio rispetto a comportamenti omissivi del datore di lavoro o di altro soggetto del cui operato egli debba rispondere a norma del Codice civile.

Inoltre, secondo l’esperienza dell’Istituto riferita alle patologie causate da agenti biologici, in materia penale la presunzione semplice non ha costituito elemento di prova sufficiente per l’imputabilità a titolo, quanto meno, di colpa, della condotta del datore di lavoro.

Sempre dal punto di vista dell’imputabilità non si può non considerare che la fase emergenziale causata dalla diffusione del Covid-19 sia stata caratterizzata dall’impatto di un fenomeno di dimensioni non previste né prevedibili. Lo stesso Governo intervenendo in Parlamento ha avuto modo di sottolineare che «la molteplicità delle modalità del contagio e la mutevolezza delle prescrizioni da adottare sui luoghi di lavoro, oggetto di continuo aggiornamento da parte delle autorità in relazione all’andamento epidemiologico, rendono peraltro estremamente difficile la configurabilità delle responsabilità civile e penale dei datori di lavoro».

Nella fase 2 le attività produttive e i servizi non essenziali hanno ripreso e potranno riprendere, nel rispetto della tempistica dettata dal Governo, a condizione che siano adottate le misure necessarie a garantire il contenimento del rischio di contagio dei lavoratori. Il presupposto è, quindi, un bilanciamento proporzionale tra le esigenze della tutela della salute pubblica e quelle della ripartenza dell’economia. Bilanciamento che è rimesso agli Organi dello Stato e non ai singoli datori di lavoro. Questi ultimi sono, invece, tenuti a dare attuazione alle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro individuate con i diversi Protocolli di intesa recepiti anche a livello normativo.

Il datore di lavoro deve solo prendere atto delle indicazioni tecniche fornite per il contenimento del rischio di contagio nel proprio ambiente di lavoro ed apportare le modifiche alla propria organizzazione necessarie per dare attuazione alle predette indicazioni tecniche. La preoccupazione del mondo imprenditoriale è che i datori di lavoro possano in futuro vedersi addebitare la responsabilità di infezioni da Covid-19 per non aver fatto meglio e più di quanto imposto dalle indicazioni date. Solo con riferimento ad una simile evenienza può ragionevolmente essere evocata una misura che stabilisca la regola per cui l’applicazione da parte del datore di lavoro delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del Covid-19 negli ambienti di lavoro, indicate dai protocolli di intesa sottoscritti costituisce a tutti gli effetti pieno assolvimento degli obblighi di cui all’articolo 2087 del Codice civile.

Una simile regola di diritto non appare peraltro in contrasto con la disciplina dell’assicurazione obbligatoria infortunistica che ha, invece, da sempre, contemperato le esigenze di tutela del lavoratore con quelle del datore di lavoro e della produzione.

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