Previdenza

Corte dei conti: «Reddito di cittadinanza flop: creato lavoro nel 2% dei casi»

di Gianni Trovati

La riforma fiscale «non è più rinviabile». E deve ridurre «le aliquote sui redditi dei dipendenti e anche dei pensionati che, pur essendo fuori dal circuito produttivo, frequentemente sostengono le generazioni più giovani». La riforma deve poi alleggerire le tasse sulle imprese «alle quali sono affidate le concrete speranze di un rilancio del Paese».

Il derby fiscale avviato con l’idea di una riduzione dell’Iva lanciata dal premier Conte domenica alla chiusura degli Stati generali non ha scalfito le certezze nutrite dalla Corte dei conti. Che indica senza esitazione la via del taglio delle tasse su lavoro e imprese.

Le indicazioni, chiarissime, sono arrivate ieri con la parifica del bilancio dello Stato. Che come da tradizione è stata l’occasione per guardare ai risultati delle politiche economiche attuate fin qui e, su questa base, mettere in fila le sfide del futuro prossimo.

Perché la parifica riguarda ovviamente l’ultimo esercizio finanziario chiuso, e da lì parte. A caratterizzare il 2019 sono state le due misure bandiera del governo Conte-1, reddito di cittadinanza e Quota 100. E il giudizio, dato dai numeri com’è nella natura della Corte dei conti, è impietoso. Sul reddito di cittadinanza è enorme la forbice fra i 2,4 milioni di richieste avanzate e il milione di domande accolte. Ma la cifra più preoccupante fra quelle elencate dalla requisitoria del procuratore generale facente funzione Fausta Di Grazia è un altra: perché solo nel 2% dei casi il Reddito «ha dato luogo a un rapporto di lavoro tramite i Centri per l’impiego». I calcoli della Corte dei conti trovano conferma nelle bozze del Pnr preparato dal ministero dell’Economia (si veda pagina 5), dove si legge che al 1° marzo scorso sono stati 65.302 i percettori di reddito di cittadinanza assunti, e che solo per il 18% di loro il contratto firmato è a tempo indeterminato.

Anche per Quota 100 le 155.897 domande accolte (69% di quelle presentate) indicano un livello molto sotto alle stime iniziali, ma questo era noto e ha permesso importanti risparmi di spesa pubblica.

Le misure “problematiche” decise negli anni e gli sprechi che si incontrano nel nostro bilancio pubblico non fanno dell’Italia «la cicala d’Esopo che molti in Europa hanno creduto», avverte la Corte ricordando la lunga serie di avanzi primari realizzata negli anni. Ma questo non cancella l’urgenza di avviare subito «un solido sviluppo infrastrutturale», da affiancare «senza indugi a una riorganizzazione più efficiente della macchina amministrativa e dei servizi resi ai cittadini», come avverte il presidente della Corte Angelo Buscema. Sono gli obiettivi del decreto semplificazioni che fatica a farsi largo fra le divisioni della maggioranza. E che preoccupa la Corte sui progetti di revisione della responsabilità erariale che non devono trasformarsi in «un colpo di spugna alle responsabilità per i danni inflitti con condotte gravemente colpose».

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©