Previdenza

Il Fondo nuove competenze non va annacquato con la formazione regionale

di Silvia Ciucciovino ed Enzo De Fusco

Per accedere al Fondo nuove competenze l’azienda deve preparare un progetto di formazione che tenga conto del quadro europeo delle qualificazioni e dei titoli di studio (Eqf) e del sistema regionale di individuazione, validazione e certificazione delle competenze. Inoltre, l’Anpal prima di approvare il progetto ha l’obbligo di sentire la Regione interessata, che si esprimerà anche tenuto conto della propria programmazione regionale dei progetti in materia di formazione continua.

Dalla bozza di decreto interministeriale uscito dal confronto con le Regioni emergono ulteriori vincoli e limiti che preannunciano un sostanziale flop del Fondo nuove competenze.

L’articolo 88 del decreto Rilancio prevede la destinazione delle risorse pubbliche al sostegno del reddito (retribuzione persa e contribuzione) dei lavoratori occupati e coinvolti in programmi di riduzione dell’orario di lavoro concordati tra impresa e sindacati, ponendo come condizione di accesso a tale risorse la conversione delle ore di lavoro in ore di formazione. La norma non regola la formazione il cui finanziamento spetta all’impresa, che potrà (ma è una facoltà) attivare i fondi interprofessionali per la formazione continua e/o attingere ai Programmi operativi del Fse.

L’articolo 88 stabilisce chiaramente che il fine dello strumento è quello di venire incontro «alle mutate esigenze produttive e organizzative dell’impresa» (aggiunge la bozza del Dl agosto: ovvero «favorire percorsi di ricollocazione dei lavoratori»), quindi per soddisfare gli interessi dell’impresa e dei lavoratori impiegati, nell’ottica della proficua prosecuzione del rapporto di lavoro presso la medesima unità produttiva o presso una diversa impresa.

Ebbene, la bozza di decreto interministeriale uscito dalla consultazione con le Regioni, andando oltre l’attuazione della norma di legge, interviene ad ampliare la portata dell’articolo 88 aggiungendo anche «la finalità di innalzare il livello del capitale umano nel mercato del lavoro offrendo ai lavoratori l’opportunità di acquisire nuove o maggiori competenze e di dotarsi degli strumenti utili per adattarsi alle nuove condizioni del mercato del lavoro». Si vede così una chiara funzionalizzazione del Fondo nuove competenze a nuovi obiettivi e un passaggio di prospettiva dal rapporto di lavoro al mercato del lavoro.

Ecco allora che emergono una serie di previsioni che rischiano di spostare il baricentro della formazione dalle necessità produttive e organizzative dell’impresa e dei lavoratori, agli schematismi della formazione regionale visto il richiamo ai titoli di studio (Eqf) e al sistema regionale di individuazione, validazione e certificazione delle competenze.

Si legge così in controluce la volontà di affermare un doppio livello di competenza, statale e regionale, sulla materia, quasi che la norma trattasse materia di competenza concorrente. Ma si tratta di un presupposto errato per due ordini di ragioni.

Innanzitutto perché l’articolo 88 è norma che regola non la formazione professionale di competenza regionale, bensì l’integrazione del reddito dei lavoratori impegnati in formazione e semmai configura una misura previdenziale (finalmente non risarcitoria, bensì di prevenzione della disoccupazione) rientrante nella materia di esclusiva competenza statale e semmai ascrivibile all’articolo 38, secondo comma, della Costituzione.

In secondo luogo, perché le politiche attive individuate dalla norma consistono in misure di formazione che ineriscono al rapporto di lavoro, senza interferenza alcuna con i sistemi regionali di istruzione e formazione professionale. E in quanto tali, come ci ha insegnato la Corte costituzionale con riferimento all’apprendistato (sentenza 50/2005), rientranti nell’esclusiva competenza statale.

Sarebbe un vero peccato, però, sprecare l’occasione di disegnare uno strumento davvero innovativo, che almeno sulla carta si presenta molto promettente. Il Fondo nuove competenze ha le potenzialità per rispondere ai bisogni di rinnovamento e adeguamento delle competenze dei lavoratori rispetto alle necessità del sistema produttivo e organizzativo delle imprese. Ma con questa regolamentazione rischia di rimanere imbrigliato in formalismi e contese di competenze multilivello, con conseguenze già viste (vedi l’apprendistato prima maniera ex Dlgs n276/2003).

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